Poseresti la tua mano calda sulla mia spalla, se fossi qui? Mi stringeresti le braccia e mi attireresti a te? Appoggeresti la tua fronte alla mia come per dirmi che mi vuoi, ma non mi vuoi?
E muoveresti la testa in quel modo sconsolato, come a dire ‘cosa mi fai, ma cosa mi fai?’, ma alla fine però, non ci sei. Come in un Minuetto di pessimo gusto, vieni qui e te ne vai.
Inietti una siringa di inquietudine nelle mie vene, il desiderio di te mi striscia sotto la pelle. Come in quella scena di Matrix, come un animale in gabbia e la gabbia sono io.
No, io sono l’animale e la gabbia è la tua assenza. O forse come nella canzone, siamo due anime che nuotano in un acquario.
Sfioreresti il mio naso con il tuo, lasceresti una scia di baci leggeri sugli zigomi del viso. Mi copriresti gli occhi con la tua bocca, torneresti verso le labbra e rimarresti un attimo sospeso. Perché forse sei ancora in tempo per lasciarmi qua, sola, a cercare di sopire il desiderio di te.
Muoveresti la testa in qua e in là, ‘cosa mi fai, ma cosa mi fai?’. Come una calamita, sentirei le tue labbra sulle mie, prima ancora che succeda, ma sarei distratta dalle tue dita, che mi artigliano il collo, che mi premono, che mi soffocano il respiro.
Sentirei le nostre bocche incastrarsi, la tua lingua penetrare prepotente in cerca della mia, la carezza ruvida della tua barba.
Il calore del tuo viso vicino, il sapore dei tuoi respiri. Se fossi qui.
Mi tiro fuori dal maglione tra un’aureola di capelli elettrizzati. Strappo i lembi della camicia che si apre con un crepitio di bottoni.
Infilo un dito tra la pelle e il reggiseno, accarezzo la stoffa setosa dell’indumento scostandolo dal mio corpo, stando bene attenta a non sfiorarmi. Come faresti tu.
Raggiungo lo spazio ossuto tra i seni, pieno di lentiggini che tu ogni volta baci, una ad una.
Abbasso una spallina e poi l’altra. Mi scopro un po’, ma non del tutto. Allora tiro un po’ più in basso e rimango così, con il reggiseno appeso al corpo e i seni scoperti, la gonna allacciata sui fianchi.
La stanza vuota.
Ti chineresti fino ad inginocchiarti a terra, se fossi qui? Come hai fatto quella volta che mi hai chiesto di indossare la gonna e nient’altro. E poi mi hai spinta con forza contro il muro, mi hai sollevato la gonna e mi hai chiesto di tenerla alta fino a coprirmi la faccia. In modo da non vedere. E mentre non vedevo, sentivo: la tua lingua avida scavarmi e mangiarmi, mordermi forse anche.
Non lo so, perché a un certo punto non ho capito più niente, se non che non riuscivo più a stare in piedi e la sensazione più forte e più distinta, quella che ricordo meglio, è quella delle ginocchia che cedono, del mio corpo che scivola lungo il muro, delle mie mani che, nonostante tutto, non mollano la presa, non scoprono il viso. Di te che continui e continui e continui, del piacere che mi prende, mi solleva. Mi allaga e poi mi svuota.
Porto le mani alla cerniera sul fianco, la apro e faccio scorrere la sottana fino ai piedi. La fodera di raso si attacca alle calze di lana che indosso. Mi avvicino al letto: è alto, grande, soffice, e davanti c’è uno specchio, come piace a te. Ci salgo sopra tenendo le scarpe. Come piace a te. Mi guardo allo specchio: ho i seni fuori dal reggiseno, le braccia sottili, le calzamaglie marroni.
Infileresti le dita sotto l’elastico, se fossi qui? Mi prenderesti tutta nella tua mano, mordendomi il collo mentre lo fai? Faresti scorrere un dito, su e giù, su e giù? Lo infileresti dentro di me, alle prime contrazioni dell’orgasmo? Mi tireresti giù le calze senza togliermele, mi gireresti, e mi prenderesti così?
Mi guardo allo specchio: ho gli occhi lucidi e le labbra socchiuse. Mi abbasso la calzamaglia, come faresti tu.
La mia carne è morbida, sensibile, asciutta. Mi butto sul letto, mentre allungo una mano verso il cassetto del comodino. Il liquido è vischioso e freddo tra le mie dita, ma quando lo appoggio su di me mi regala un brivido piacevole. Adesso le mie dita scivolano agili su e giù, su e giù e sono di nuovo calda. E al liquido vischioso, se ne aggiunge presto un altro più leggero, quello che trovo sulle tue labbra e sulla tua barba quando ti stacchi da me e vieni a cercarmi gli occhi con quell’espressione fiera. E mi osservi e sembri scavare dentro di me, mentre riaffioro dall’abisso. Mentre rinasco al mondo. E tu strofini la tua faccia contro la mia, mescoli la tua saliva alla mia, mi stringi mentre ancora tremo.
Sento il piacere arrivare, ad ogni carezza è più vicino, quasi palpabile anche se non riesco ancora ad afferrarlo. Ho il terrore che mi sfugga, che si nasconda come un animale timido. E allora ti penso. Penso: cosa faresti tu, se fossi qui?
Mi prenderesti con tutta la tua forza e ti sentirei muovere dentro di me? Mi stringeresti i capelli e mi diresti di dartelo, il mio piacere, che è tuo e di nessun altro?
Il pensiero della tua voce mi fa godere. È un orgasmo piccolo, breve, che mi lascia insoddisfatta.
Ti staccheresti presto da me, se fossi qui.
Nei tuoi occhi vedrei riaffiorare a poco a poco l’inquietudine. Un desiderio inappagato di altro, un desiderio inappagabile. Una ricerca senza fine.
E, dopo l’illusione di averti posseduto, tornerebbe la consapevolezza di non poterti avere mai.
Ma qui tu non sei. E la mia mano si posa ancora su di me.