Diciamo la verità, chi non ha avuto almeno una volta la fantasia di viaggiare in aereo accanto a un affascinante sconosciuto, che ti corteggia con modi eleganti ma insieme sfrontati per tutto il volo, e poi, arrivati a quel convegno internazionale a cui non volevi andare, ritrovartelo in hotel, come per magia, e passare con lui una magnifica notte di sesso?
A me sta succedendo ora. O quanto meno, la prima parte. Ci siamo imbarcati nello stesso momento: lui aveva il posto finestrino, me lo ha ceduto con garbo, senza risultare affettato. Poi mi ha ignorata per almeno un’ora, limitandosi a un paio di sorrisi e affondando nella lettura di un romanzo.
Io intanto guardavo le sue mani, come sfogliavano le pagine con lentezza, accompagnando la pagina da un capo all’altro del libro. Mani grandi, curate, le vene pronunciate.
Aveva un profumo raffinato, appena percettibile. Era come un sentiero poco tracciato, che ogni tanto perdevo e poi ritrovavo. E, come spesso mi succede, è stato proprio seguendo il suo odore che ho acceso la mia fantasia. Se quelle mani avessero sfogliato la mia gonna, al posto del libro, se si fossero spinte lungo le gambe, le cosce, le avessero sedotte fino a farle aprire, e poi, trovata la strada, l’avessero percorsa con gesti esperti, autorevoli. Se mi avessero fatto perdere la prudenza che ho sempre avuto in dose eccessiva e mi avessero portato a lasciarmi andare, lì, dove qualcuno avrebbe potuto vederci… Ho chiuso gli occhi e ho respirato profondamente: ancora quel maledetto profumo.
Sono hostess su voli internazionali da oltre dieci anni. Posso dire di essere in grado di capire i passeggeri con uno sguardo: quelli impauriti dal volo, quelli emozionati dal viaggio. E poi quelli che hanno la fantasia del sesso ad alta quota. Quelli li vedi subito da un bagliore negli occhi, e da come ti chiedono un drink e una coperta in più. Non vorrei sbagliarmi proprio questa volta, ma la 21 A, quella che si appoggia al finestrino e osserva attenta il 21 B mentre legge il suo libro, quella è proprio quel genere di passeggera.
La hostess passa con il caffè e interrompe i miei pensieri. Ma proprio quel volare di tazze sopra le nostre gambe ci fa incrociare gli sguardi e il suo è, semplicemente, quello di un uomo che ti può far spogliare nuda in mezzo alla strada, se solo lo desidera. Appoggia il libro sulle gambe, beve un sorso di caffè e si presenta, il tono è calmo, rispettoso. Inutile dirlo, fa un lavoro interessante e creativo. Mi fa qualche domanda, ascolta paziente ciò che gli dico, a volte chiede più in profondità. Poi, improvvisamente, vira: fa una pausa, respira senza staccare gli occhi dai miei e mi dice: “Credo che stiamo pensando la stessa cosa”.
Io arrossisco immediatamente. Lui non dà segno di essersene accorto, anche se è impossibile.
Intanto il mio corpo, traditore, sta rispondendo di sì: la schiena preme sulla poltrona, il bacino si flette, le gambe si allargano. Gesti minimi, impercettibili, che lui ancora una volta ignora.
Si fa solo più vicino con il viso, appoggia una mano sul bracciolo che ci separa, lo alza. Una barriera è caduta e mi sento così accessibile.
Ho ritirato i vassoi, servito i caffè. Gesti automatici, compiuti centinaia di volte in ogni turno, con un sorriso gentile e finto per tutti. Eppure alla fila 21 sta succedendo qualcosa che attira la mia attenzione: è come se i due passeggeri stessero giocando una partita a scacchi, si respira tra loro una corrente elettrica. Scommetto che non si conoscono, e che entrambi stanno pensando che, per una volta, potrebbero anche osare e mettere in pratica la fantasia che gli leggo così bene negli occhi. Lei sembra la più eccitata, lo capisco da come si muove, dalle posizioni in cui siede senza sembrare mai trovarne una comoda. Lui è più prudente, o forse astuto, le dà attenzione per qualche minuto, poi torna al suo libro. Ma in realtà la desidera con altrettanta forza.
Il pilota annuncia l’altitudine e la velocità di crociera, prima in italiano e poi in inglese, minuti di tregua in cui ciascuno torna nelle sue zone di sicurezza. Poi la voce finisce e le luci si abbassano per la notte. Seguono i gesti di ogni volo internazionale: mascherine calano sugli occhi, coperte salgono sulle gambe, cuscini a forma di ciambella avvolgono colli di viaggiatori. Gli schermi sugli schienali danno alla cabina un bagliore diffuso.
Trattengo il fiato pensando “ci siamo”. Dentro di me una parte vorrebbe scappare, scendere da questo aereo in volo sopra l’oceano Atlantico, costringere il pilota a un atterraggio di emergenza, qualsiasi cosa pur di non dover ammettere la voglia che ho di un colpo di testa, di un gesto azzardato e pericoloso. Ed ecco l’altra parte di me, quella che è attratta proprio da ciò che mi fa paura: il rischio di essere scoperta e redarguita dalla hostess, l’imbarazzo di un passeggero che finge di dormire ma ci osserva, il brivido di dover soffocare un orgasmo a diecimila metri di quota.
Il mio vicino, intanto, è tornato alla lettura del suo romanzo. Ha acceso la lucina di cortesia e, come se niente fosse, segue con gli occhi le righe sulla pagina. Che mi sia immaginata tutto? Che la mia fantasia mi stia ingannando? Sono confusa.
Senza accorgermene devo aver iniziato a fissarlo perché a un tratto mi ritrovo presa in un suo sguardo interrogativo. Non dice una parola, ma è come se mi stesse chiedendo: “occorre qualcosa?”.
Deglutisco e balbetto un “dovrei passare”. Lui prontamente si alza e mi lascia giusto lo spazio necessario perché io sfili tra il suo corpo e la poltrona. Lo vivo al rallentatore: il contatto, il suo odore che mi avvolge, le mani a pochi centimetri dal mio corpo.
Un passaggio lungo il corridoio per controllare che sia tutto a posto. Alla fila 19 un uomo grasso russa già profondamente. La 20 ha chiamato e chiede un altro caffè. Arrivo alla 21, ho già preparato due whisky sul vassoio e una coperta sul mio avambraccio, tanto li chiederanno, così mi risparmio la strada. Lui è solo, lei si è alzata poco fa per andare in bagno. L’ho vista dal mio strapuntino vicino alla cabina di pilotaggio: ormai so calcolare bene i tempi. L’uomo mi sorride, io ricambio e questa volta non è il solito sguardo professionale e rassicurante, gli sorrido come si sorride a un amante, a una conquista. Lo vedo sorpreso quando chiedo: “qualcosa da bere per entrambi?” e allungo il vassoio. E poi divertito quando aggiungo: “una coperta in più?”. Ha capito che ho capito. Sa che non li disturberò.
Nella toilette mi sciacquo la faccia più volte. Mi guardo nello specchio, vorrei dirmi “cazzo fai?” e invece lo specchio mi restituisce un “sei eccitata, eh?”. Respiro. L’aereo ha uno scossone, e sorrido pensando a quanto rappresenti bene il momento. Quando ritorno al mio posto, qualcosa è cambiato. Non me ne accorgo subito, perché lui è nella stessa posizione, con il libro in mano, il corpo rilassato. Ma sul tavolino ci sono due bicchieri con qualcosa che potrebbe essere un super alcolico. Mi sorride, come se non occorressero spiegazioni. E non occorrono. Quando si alza per farmi passare di nuovo tenendo in equilibrio i bicchieri (e, ancora, quella vicinanza, quello strusciarsi), mi accorgo che sulle gambe ha una coperta. Non so dove l’abbia presa, prima non c’era.