1.
Le mani. Grosse, squadrate, da maniscalco.
Sono la prima cosa che ha notato di lui, e ora le sente lungo la schiena, sotto la camicetta, con una sicurezza che non è arroganza, ma ci va vicino.
Cerca di ricordare il nome dell’uomo mentre il reggiseno si arrende.
«Piacere, Alice».
«Piacere, …».
Doveva essere un nome lungo, aristocratico, decisamente in contrasto con quelle mani tozze.
«Piacere, Alice».
«Piacere, Giandomenico».
No.
«Piacere, Alice».
«Piacere, Ludovico».
Nemmeno.
L’uomo la bacia e Alice trova che sia una ragione sufficiente per smettere di pensare a quando si sono presentati.
Da dietro, le tiene i capezzoli tra i polpastrelli con una forza delicata. Li sente duri, al limite del dolore. Lei trattiene un gemito.
Le mani ora sono arrivate al collo, sanno esattamente come stringere senza impaurire ma scatenando un brivido che dalla nuca si scarica in mezzo alle gambe. Sente le dita accarezzare la sfumatura dei capelli. Ha sempre avuto i capelli lunghi, Alice, e solo qualche giorno fa ha deciso per un taglio radicale, da maschiaccio. A quanto pare il taglio aggressivo attira gli uomini decisi e spaventa i pavidi. Selezione naturale.
L’uomo non parla, ma il suo respiro, così vicino all’orecchio, si insinua dentro di lei e detta il ritmo.
Adesso lo vuole, subito, qui in piedi in mezzo alla stanza, anche se non ricorda il nome aristocratico, anche se di lui conosce solo le mani e lo sguardo, e tanto le basta per lasciarsi andare.
Le mani ora sono sui polsi, li stringono, la guidano verso la porta. Alice si appoggia, i palmi aperti. L’uomo è dietro, le allarga i piedi con i piedi. Alice per un attimo si sorprende a pensare a come saranno, i piedi dell’uomo. Forse grandi come le mani, o aristocratici come i piedi di un Giandomenico, di un Ludovico in doppiopetto. Le mani risalgono sotto la gonna, scostano gli slip, la trovano pronta.
L’uomo è dentro. Ad Alice sembra che sia come le mani: tozzo e robusto. Ma è confusa. Lo lascia fare e sente che non ci vorrà molto. Del resto la situazione richiede urgenza. Oltre la porta si sentono i rumori della festa, la musica, le voci. Alice si chiede ancora come abbia fatto a trovare il coraggio di abbordarlo e di portarselo lì.
Poi stacca il cervello, senza altre domande.
Senza pensare nemmeno per un momento che oltre la porta ci sono i suoi amici, i suoi genitori, la futura suocera.
Il suo fidanzato con l’anello luccicante.
2.
Alice afferra un bicchiere di prosecco dal tavolo. Lo sente alla testa prima ancora di berlo. La mano trema, ma sarebbe difficile per chiunque accorgersene, anche solo pensarlo. Incrocia occhi cordiali. Offre a tutti il suo migliore sguardo-da-cameriera, retaggio di quando lavorava per pagarsi gli studi: sorriso fisso e messa a fuoco all’orizzonte per non essere intercettata.
«Alice, sei bellissima!».
«Alice, complimenti!».
«Alice, bambolina, dove sei stata? Mamma voleva salutarti».
Questo è Federico, il fidanzato dell’anello.
Alice arrossisce, dice che arriva subito, il tempo di un bicchiere. A Federico la risposta deve sembrare sufficiente, riparte in direzione della mamma.
E Alice pensa “Cazzo, l’ho fatto davvero”. È forse la prima volta che fa una cosa per se stessa, un colpo di testa. E poi quell’orgasmo, così potente, rubato. Dovrebbe forse dire imposto. Nulla a che vedere con il sesso educato che fa con il fidanzato.
Lo rivive nella mente, il piacere ha questa capacità sorprendente di riaccendere il corpo al solo ricordo. Le pare ora che tutti gli invitati possano leggerle dentro.
Alice adesso pensa che Federico le ha regalato un anello, ma non le ha mai regalato un orgasmo.
E questo pensiero la porta di nuovo a immaginare le mani, ciò che le hanno fatto provare, e ciò che ancora potrebbero darle. Si sposta verso il tavolo, punta verso l’uomo, che sia Ludovico o Giandomenico, e in un attimo gli è accanto. Lui ha il viso rosso, le vene ancora gonfie.
«Portami via, sbrigati».
L’uomo sembra perplesso, ma avverte un pericolo imminente. L’adrenalina risveglia sensi e organi. Lei gli piace, con quell’aria timida ma audace insieme, con quei capelli corti che lasciano libero il collo.
Non è da lui fare domande, elabora piuttosto pensieri pratici: se possono andare a casa sua, dove ha parcheggiato l’auto.
Alice dice: «Non ricordo come ti chiami, ma da come mi hai scopato prima, credo che tu possa andar bene».
Lui dice solo: «Piacere, Piero».
3.
Piero, dopo la fuga dalla festa, un tratto non breve di autostrada, un parcheggio piuttosto creativo e tre piani di scale a piedi per arrivare al suo appartamento, sta nuovamente usando delle sue grosse mani per tenere aperte le cosce di Alice e affondare al centro con la lingua.
«Con quelle mani», sta commentando la ragazza, «non avrei detto che fossi bravo anche con la bocca».
Piero, contrario di suo agli stereotipi, vorrebbe controbattere, non fosse che in quel momento non ne avrebbe modo. Temendo anzi di aprire un dibattito inopportuno, preferisce farsi strada dentro di lei con le dita. Alice contrae il bacino, lo spinge contro la bocca di Piero, lancia un gemito.
Attraversano la notte alternandosi alla guida della danza. Si cercano, si esplorano, si fanno portare dal desiderio. È il sesso di due persone che non lasciano spazio alle parole e non hanno bisogno di spiegazioni.
A casa di Federico ormai sarà esplosa l’agitazione. Dov’è? Che fa? Ci fa preoccupare. Il telefono di Alice probabilmente non smette di suonare, prigioniero della borsetta, ma nessuno dei due ci pensa.
Alice al contrario riprende coraggio, la mano sul petto di Piero, lo spinge al muro, dice «faccio io» e, in ginocchio ma senza mai togliere quella mano dal petto che si solleva e si abbassa sempre più in fretta, continua fino a vedergli tremare le cosce, gonfie di acido lattico.
È sul punto di esplodere, Alice lo sente. Ci gioca. Piero resiste, non si arrende. Alice è eccitata dalla fatica immane che lui fa per non venire: le vene gonfie, gli occhi serrati.
Poi l’uomo ha una reazione: la prende per i fianchi, la solleva, attraversa la stanza come se volasse e l’appoggia a cavallo del bracciolo del divano. Le mani le divaricano le cosce, la premono sul bracciolo. Pelle su pelle. Quella morbida del sesso di Alice, quella più vissuta del divano. Piero la prende subito, quasi con rabbia, in una posizione instabile in cui a ogni colpo corrisponde un contraccolpo da sotto. Alice ha ora la sensazione di essere in mezzo a due uomini, entrambi concentrati sul suo piacere.
E basta questo pensiero, innestato sul ritmo di Piero, sulle scosse che riverberano in lei, a farle pensare: «oddio, di nuovo».
Piero incalza. Ancora quella mano nei capelli. Basterebbe il modo in cui la stringe, per godere, pensa Alice in un presente assoluto, senza passato e senza futuro. Ha perso il conto del tempo e degli orgasmi. Ha la sensazione che, con una spontaneità disarmante, semplicemente Piero se li prenda quando desidera, senza che lei debba fare nulla per ottenerli, né possa in alcun modo fermarli. La mano le impedisce di alzare la testa.
Piero aumenta il ritmo. Eccone un altro.
4.
Sceglie il bagno per fargli la domanda. C’è il rumore dell’acqua, quello della doccia. Piero si sta sciacquando la faccia, Alice aspetta che sia abbastanza calda per entrare. Dice:
«Che farai, adesso, dopo che me ne sarò andata?».
Piero non ha sentito, deve ripetere.
«Quando me ne vado…».
«Dormo».
«Mi cercherai?».
«No».
«Ti mancherò?».
«No».
«Ci rivedremo?».
«Boh».
La colpisce il tono delle risposte, così calme: quelle di un uomo che è già completo di suo e non ha bisogno di una bambolina sotto vetro per sentirsi appagato. Pensa proprio così: bambolina sotto vetro.
Vorrebbe dire qualcosa, ma Piero la appoggia al muro e la solleva. Alice deve aggrapparsi a lui per non cadere. Tutto è bianco, tutto è scivoloso e instabile, confuso dal vapore. Avesse il tempo di pensarci, sarebbe una perfetta metafora del suo stato d’animo.
Entra.
Ormai Alice ha imparato le sue forme, il punto esatto in cui si spinge in lei. Il colpo di bacino con cui affonda ancora per un ultimo, determinante, centimetro. Il suo diametro, generoso. E le mani, e i piedi, e il ritmo del petto. Le sembra di conoscerlo più di quanto abbia conosciuto altri amanti, fidanzati con o senza anello. Le sembra di essere a sua volta conosciuta intimamente, senza segreti. Come quegli orgasmi che lui le scova nel segreto più segreto del corpo.
Eccone un altro in arrivo. Veloce.
«Aspetta», dice per la prima volta Piero.
Alice sente il corpo mettersi in pausa.
«Aspetta. Non ora».
Piero è una persona semplice ma profonda. Comunica con il corpo più che con le parole.
Alice capisce: questo è il suo saluto. Si stanno dicendo addio così, in piedi sotto una doccia troppo calda, che toglie il fiato e appanna la vista. Si stanno dicendo grazie così, con Piero dentro di lei che detta il ritmo. Con Alice aggrappata a lui, tremante e aperta.
Resta un ultimo saluto da darsi. È una notte importante, la notte in cui Alice ha avuto il coraggio di riprendersi la sua vita, il suo diritto al piacere. Verrà domani. Piero dormirà, avrà altre donne. Alice prenderà in mano quel telefono, darà spiegazioni, ma non dovrà giustificarsi.
Resta un ultimo grazie da dirsi. Per non aver fatto domande, per esserci stato nel modo giusto.
Piero lo intuisce, dice: «Ora. Godi».
Alice sente ogni muscolo del corpo rispondere al suo comando: contrae le natiche, stringe le unghie sulla sua schiena, spinge il bacino contro il suo.
«Grazie», dice mentre viene portata via dall’ultimo orgasmo.