Siamo qui: uno di fronte all’altra. E ci guardiamo.
Misuro le coordinate dello spazio, saggio la superficie del pavimento, mi perdo nella profondità dello sguardo. Ma più che altro scruto dentro di me, al piano di azione che sto architettando. C’è chi ancora crede all’improvvisazione. Non io. Ogni passo, ogni gesto, è già stato. E sarà ancora.
Soppeso l’imponenza della struttura, l’elasticità delle giunture. Calcolo la forza dell’impatto, la resistenza all’urto. Aspiro la polvere nell’aria, l’odore della stoffa e della brillantina. Chiudo gli occhi. Rinuncio. Mi abbandono.
Siamo qui: uno di fronte all’altra. E ci abbracciamo.
Sento la stoffa leggera del vestito cedere sotto la mano aperta. Sento la carne tesa del fianco sotto la presa. Sento le dita adagiarsi nella scanalatura della schiena.
Sento i muscoli del braccio flettersi mentre lo sollevo ad angolo retto e aspetto di ricevere la stretta che, lo so, non si farà attendere.
Sento il respiro farsi profondo. Sento il corpo farsi uno e dondolarsi impercettibilmente. Cerco una nuova statica instabile, che mi permetta di abbandonarmi. Ma non troppo. Di essere peso ma non fardello. Di ridefinire gli equilibri dell’abbraccio.
Sento la mano adagiarsi, il capo appoggiarsi. Sento il piede flettersi.
Siamo qui: uno di fronte all’altra. E camminiamo.
Sento le ossa resistere e farsi carico del nuovo peso, un po’ come trasformandosi in una nuova creatura. Sento il piede protendersi in un passo e la nuova creatura muoversi di conseguenza, come il corpo sinuoso di un serpente. Sento un ostacolo davanti al mio piede. E ho il coraggio liberatorio di scansarlo quell’ostacolo. Che ostacolo non è. Con un calcio. Che calcio non è.
Sento il corpo disfarsi e fondersi, le membra abbandonarsi. Ma non troppo. Una rinuncia cosciente di volontà che però non esime dalle responsabilità. Sento le ossa farsi molli, i muscoli farsi liquidi, le azioni diventare reazioni, le scelte diventare conseguenze. Sento l’urgenza del pensiero abbandonare la mente, l’intenzione disertare i movimenti.
Siamo qui: uno di fronte all’altra. E qui restiamo.
Sento il fiato pompare nei polmoni, il sudore colare sulla fronte, il calore ammorbidire i muscoli. Sento il piacere di averti guidata fin qui.
Sento i fianchi ondeggiare lievemente, le braccia abbracciare, il respiro sfuggire alla chiusa dei denti. Ed è stato un piacere seguirti fin qui.