Questo racconto ci è stato spedito da un lettore che vuole rimanere anonimo. Non sappiamo se si tratti di un’esperienza di vita vera o di una semplice fantasia. A te il giudizio finale e non esitare a lasciarci un commento qui sotto. O, meglio ancora, a spedirci la tua, di storia.
Di professione faccio il medico. E sono un dominatore. Ho provato a mettere in pratica le mie fantasie con alcune partner ma i risultati sono stati fallimentari. Quando hai una relazione, sentimentale intendo, troppi casini si mettono in mezzo: il rapporto si altera e quello che dovrebbe restare limitato esclusivamente al sesso dilaga all’interno della coppia trasformandola definitivamente in qualcosa che nessuno dei due voleva all’inizio.
Quindi ho cominciato a rivolgermi a dei siti specializzati, ne esistono parecchi. È la legge della domanda e dell’offerta e internet ha semplificato molto le cose. Ne ho visitati diversi, ho avuto qualche relazione, nessuna particolarmente interessante.
Poi ho incontrato Anna e le cose sono andate subito bene.
Innanzitutto la trovavo estremamente attraente, mi piacevano le sue forme ma anche l’odore della sua pelle e dei suoi capelli. Mi piaceva che il suo essere sottomessa non fosse semplicemente una scelta sessuale ma fosse rispecchiato anche dal suo modo di fare, di camminare. Teneva sempre gli occhi bassi e aveva una forma di timidezza, di fragilità quasi, che dava al mio essere dominante una specie di giustificazione morale.
Era una donna di cui volevi prenderti cura, fin nei dettagli più intimi.
Ma la cosa che mi piaceva più di tutto in lei era che la sua sottomissione la eccitava incredibilmente. Lei ne godeva esattamente quanto godevo io nel dominarla.
Ci vedevamo una volta alla settimana ma ci sentivamo tutti i giorni. Non so se avesse un compagno, non è così inusuale nel mondo delle coppie dom/sub, alcune vivono proprio una vita parallela e, il più delle volte, nessuno si accorge di nulla.
So che la chiamavo ogni mattina presto e le dicevo che tipo di biancheria doveva indossare, se doveva mettere reggiseno e mutandine o solo uno dei due. Se doveva indossare il reggicalze o una biancheria semplice, di cotone, come una liceale. Le dicevo se doveva infilarsi le palline della geisha o mettere in borsa un vibratore. Non ho mai avuto il minimo dubbio che lei seguisse alla lettera le mie richieste.
A volte la sorprendevo con un’altra telefonata durante il giorno. Lei mi rispondeva sempre. Certe volte la sentivo col fiato affannato, come se fosse corsa fuori da una stanza all’improvviso. Altre volte sussurrava e la immaginavo circondata da persone, dentro un ufficio. Non era scritto da nessuna parte che lei dovesse essere sempre disponibile per me, non avevamo scritto niente, infatti, non eravamo mica dentro un film. Ma era scontato tra di noi che lei, per me, dovesse esserci sempre. Era un altro modo di manifestarmi la sua sottomissione che io apprezzavo molto.
A volte le chiedevo di andare in bagno a masturbarsi, fino a farsi venire. Oppure le chiedevo se fosse seduta o in piedi. Se mi rispondeva che era seduta e la mattina le avevo chiesto di mettere in borsa il suo piccolo vibratore, le chiedevo di infilarselo senza alzarsi dalla sedia, senza farsi vedere da nessuno.
A volte mi diceva ‘Non posso’. Non cercava scuse, non dava spiegazioni, e anche questo mi piaceva molto. Non eravamo una di quelle coppie che amano la violenza, il sadomaso, il nostro gioco di dominazione e sottomissione era molto più sottile. Quando mi diceva ‘Non posso’ le dicevo semplicemente che non doveva godere fino al nostro prossimo incontro.
E quegli incontri erano i migliori.
La mattina del giorno in cui ci saremmo visti la nostra telefonata era più lunga e più calda del solito. Le chiedevo se fosse eccitata all’idea del nostro incontro. E lei invariabilmente mi rispondeva ‘Molto’. Mi piaceva che le sue risposte erano sempre semplici e brevi. E suonavano incredibilmente sincere.
Io le dicevo come doveva vestirsi, non solo che biancheria indossare, ma anche i vestiti. A volte la volevo sexy, con i tacchi, una gonna con lo spacco e una camicia dalla quale si intravedesse il seno. Altre volte la preferivo avvolta in un vestito di lana, di quelli che fasciano il corpo. Il più delle volte le chiedevo di non indossare alcuna biancheria, ci dava molto più agio nei nostri giochi. Spesso le portavo un regalo: un vestito che volevo vederle addosso, un sex toy che volevo provare su di lei, un capo intimo che le avrei chiesto di mettere quando non ci vedevamo. Non le ho mai fatto regali di altro genere, lei non mi ha mai regalato niente.
Ci vedevamo sempre per un aperitivo prima di cena. Lei non alzava mai gli occhi sul cameriere e non chiedeva niente di sua iniziativa. Ho sempre scelto io cosa dovesse bere e mangiare e ho sempre ordinato per lei.
A volte decidevo che non dovesse bere altro che acqua, perché la volevo lucida per il gioco che avevo in mente o semplicemente perché non volevo sentire l’odore dell’alcol nel suo respiro. Altre volte ordinavo anche due drink, che lei beveva senza fiatare.
A volte le chiedevo se volesse qualcosa, ma mai così, genericamente ‘vuoi qualcosa?’. Le facevo una domanda precisa e lei rispondeva. Invariabilmente di sì.
E mentre sorseggiavamo i nostri drink le spiegavo cosa avevo in mente per la serata. Passavo tutta la settimana a pensarlo e curarlo nei minimi dettagli.
A volte appoggiavo un sex toy sul tavolo, uno di quelli col telecomando. Lo appoggiavo sulla tovaglia bianca e senza alzare né abbassare la voce le chiedevo di andare in bagno a indossarlo. Poi passavo il resto della cena a giocare con il telecomando sapendo che l’oggetto si muoveva dentro di lei. A volte capitava che dei commensali vicini avessero seguito la scena e non riuscissero più a staccarci gli occhi di dosso.
Altre volte le chiedevo di andare in bagno e di aspettarmi dentro la prima toilette con la porta aperta, la gonna alzata e le mani appoggiate al muro. L’avrei raggiunta e l’avrei presa da dietro.
Ero molto meticoloso e non lasciavo nulla al caso, facevo sopralluoghi nei ristoranti e negli alberghi prima di andarci con lei. E valutavo sempre i rischi ai quali andavamo incontro.
Durante il nostro aperitivo le spiegavo nel dettaglio cosa sarebbe successo: le dicevo adesso andremo a cena nel tal ristorante e a un certo punto ti chiederò di andare in bagno e di lasciare la porta aperta…
Vedevo il rossore dell’eccitazione imporporarle le guance, le sue mani farsi tremanti mentre cercavano il bicchiere. Quando poi consumavamo il nostro rapporto, lei godeva come nessuna donna aveva goduto mai con me. Dovevo tapparle la bocca perché non tratteneva affatto i gemiti o persino le grida di piacere.
Una sera ho ordinato solo acqua per lei. Ho estratto una carta magnetica, l’ho appoggiata sul tavolo e l’ho fatta scorrere fino a lei. Poi ho tirato fuori una scatola nera e l’ho messa sul tavolo. Le ho spiegato che la carta era la chiave della nostra stanza in albergo. Che quello contenuto nella scatola nera era un regalo per lei. Che lo doveva aprire. Lei ha accostato le mani alla confezione e l’ha aperta. C’erano persone accanto a noi, ma lei non se ne preoccupava mai. Nonostante sembrasse molto timida non esitava mai a seguire le mie richieste. E io cercavo di non superare mai i limiti della decenza. Ci provavo almeno. Comunque quello che tirò fuori dalla scatola non avrebbe destato l’imbarazzo di nessuno. Era un piccolo oggetto quasi circolare, di cui sapevo la morbidezza. I suoi occhi si sono accesi di un improvviso interesse, solo per un istante.
‘Adesso vengo in bagno con te e te lo infilo. Questo’ ho allungato la mano verso la scatola e ne ho tirato fuori un dischetto sferico, fresco a morbido nella mia mano ‘è il telecomando. Il telecomando resta a me. Tu prendi la carta e vai in albergo. Voglio che ti togli la gonna e ti siedi sul bordo del letto. E che mi aspetti sdraiata e con le gambe aperte. Io andrò a cena e, quando vorrò, ti raggiungerò.’
Lei non ha detto niente. Ma ha preso il bicchiere d’acqua e l’ha scolato d’un fiato. Poi, senza darmi il tempo di riprendermi dall’eccitazione che la sua impazienza mi ha provocato, si è alzata e si è diretta verso il bagno. Ho gettato un’occhiata attorno a noi e l’ho seguita a ruota. Sono entrato furtivamente nel bagno delle donne e l’ho trovata ad aspettarmi, calma come sempre.
L’ho spinta dentro una toilette piuttosto stretta, le ho sollevato la gonna e ho fatto scivolare una mano dentro le mutandine di pizzo rosa pallido che le avevo chiesto di indossare. Lei era già bagnatissima. ‘Non mi deludi mai’ le ho sussurrato dentro l’orecchio spingendola contro il muro. Poi ho presa il piccolo oggetto dalla sua mano, mi sono inginocchiato davanti a lei, ho spostato di lato la mutandina e ho infilato una parte dell’oggetto dentro il sesso caldo. Ho rimesso a posto le mutandine, poi ho tirato fuori il telecomando e l’ho acceso. L’oggetto si è messo a vibrare contro il suo clitoride turgido e dentro di lei. Si è lasciata sfuggire un gemito. Le ho abbassato la gonna e le ho chiesto di uscire di lì e andare in albergo senza aspettare oltre.
Mentre mi passava davanti per uscire dal bagno strettissimo, ho sentito la carezza dei suoi glutei contro il mio pene eccitato.
Appena se ne è andata, mi sono toccato fino a farmi venire, l’eccitazione di saperla in giro con quel piccolo oggetto vibrante infilato nel suo sesso, l’idea che di lì a poco, quando avrei voluto, l’avrei posseduta, era tutto troppo per me.
Il rapido orgasmo mi ha calmato un poco. Sono tornato al nostro tavolo, la carta magnetica non c’era più e Anna nemmeno. Ho finito il vino e ho chiamato un taxi.
Sono andato in un buon ristorante della città, niente di lussuoso. Anna cercavo sempre di portarla in posti molto belli anche perché erano quelli che ci garantivano la massima privacy. Ma, sesso a parte, sono una persona di gusti semplici. Quella sera ho scelto apposta un locale un po’ più popolare nella speranza di incontrare qualche conoscente. Il telecomando dell’oggetto che sapevo infilato nella parte più intima di Anna continuava a vibrare nella tasca della mia giacca con lo stesso ritmo con cui risuonava dentro di lei e, lo sapevo, mi avrebbe reso impossibile aspettare più del tempo necessario per trangugiare qualcosa e fiondarmi da lei. E invece volevo prolungare quel piacere il più a lungo possibile. Pensare ad Anna, calda e seminuda, distesa a gambe aperte ad aspettare solo me mi dava un’eccitazione continua, quasi dolorosa da quanto era piacevole.
Sono stato fortunato e sono incappato in una coppia di amici che mi hanno immediatamente chiesto di unirmi al loro tavolo. Ho assaporato ogni boccone di quella cena, ogni istante della conversazione, ogni allusione piccante, ogni pettegolezzo divertente, ogni sorso di vino.
L’immagine sensuale della mia sottomessa in attesa della sua razione di sesso, sola in una stanza di albergo, mentre io sorseggiavo vino rosso e masticavo filetto, sotto le luci calde del ristorante e le voci amiche dei commensali, rendeva ogni istante di quella sera più prezioso e infinitamente sensuale. Mi sembrava di fare l’amore con il mondo intero.
Gli amici mi hanno chiesto di unirmi per un bicchiere di whisky ma a quel punto il desiderio prepotente ha avuto la meglio. Ho declinato e mi sono incamminato a piedi verso l’albergo, estremamente consapevole della chiave della stanza in una tasca della giacca, e del telecomando dell’oggetto nell’altra. Camminare nell’aria fresca della notte non ha fatto altro che aumentare la mia eccitazione, avevo il fiato corto. Sono entrato in albergo senza quasi rendermene conto, ho infilato la porta dell’ascensore e la sua salita mi è sembrata infinita.
Ho sentito i miei passi, attutiti dalla moquette, risuonare dentro di me. Quando sono arrivato davanti alla porta della stanza mi sono dovuto fermare a riprendere fiato. Ho preso il telecomando e ho aumentato la potenza della vibrazione, un modo per annunciare il mio arrivo.
Ho fatto scivolare la carta magnetica dentro la fessura e aperto delicatamente la porta. La stanza era immersa in un luce soffusa e calda e Anna era lì, esattamente come le avevo chiesto. Abbandonata sul letto, senza gonna, con le gambe pronte ad accogliermi e il piccolo oggetto che ancora vibrava sopra e dentro di lei.
Quando mi ha sentito entrare, ha lasciato uscire un lungo sospiro ma non ha dato altro segno di aver notato il mio arrivo. Ho coperto la distanza che ci separava in un istante, non potevo più aspettare. Con mani tremanti mi sono abbassato la cerniera dei pantaloni e ho tirato fuori il mio sesso super eccitato. Le ho scostato le mutandine di pizzo così brutalmente che le ho sentite lacerarsi tra le mie dita. Sono entrato dentro di lei senza dire, senza fare niente. Non l’ho baciata, non l’ho accarezzata, non l’ho salutata. Lei era eccitatissima, l’oggetto vibrante le aveva tenuto compagnia tutta la sera, tutto quel tempo che avevo trascorso mangiando e bevendo e parlando, lei l’aveva passato godendo per me. Aspettando me.
È stato uno dei nostri incontri più belli. Non le ho tappato la bocca, e la sua voce ancora mi risuona nella testa.
E quella sera per la prima volta l’ho pensato. Ho desiderato che quella cosa non finisse mai.