La strada che ci porta alla vacanza è un rettilineo assolato. Io e Mara, in viaggio verso il mare. L’aria entra dai finestrini abbassati, la radio canta di tradimento e dolore, Mara tiene le gambe incrociate, appoggiate sul cruscotto, ha un braccialetto di cotone intorno alla caviglia e le unghie dei piedi smaltate di verde.
‘Ho fame, fermiamoci.’
‘Ok, appena troviamo un posto.’
Facciamo ancora un po’ di strada, scartiamo un po’ di posti. Quella è la nostra vacanza, tutto deve essere perfetto.
Poi vediamo un bar che sembra sufficientemente vintage per i nostri gusti. La scritta ‘panini’ unita a ‘giardino sul retro’ ci convince a fermarci.
Il bar è un budello lungo e fresco che conduce, appunto, al giardino sul retro. Uno di quei bar di paese, di quei paesi che sorgono lungo le strade della vacanza. Con i giornali sui tavoli di fòrmica e i vecchi che ordinano il bianchino alle 10 del mattino.
Ce ne sono un paio, quando entriamo, e puntano i loro sguardi vogliosi su Mara, sui suoi micro pantaloncini di jeans, sul suo seno prosperoso che si intravede avvolto dal costume turchese sotto la camicia leggera che indossa. La cosa non mi infastidisce, niente può infastidirmi oggi, oggi che il sole riempie l’aria dei profumi dell’estate matura, oggi che la mia vacanza non è ancora nemmeno iniziata.
C’è un bancone più piccolo, di fianco a quello del bar, con tutto l’occorrente per preparare i panini. Una signora corpulenta appare come magicamente dietro i salami e i pecorini e facciamo la nostra ordinazione. Prendiamo anche due birre dal frigo, ecchecaspita siamo in vacanza!
Il giardino sul retro è un’oasi deliziosa: un pergolato ombreggia pochi tavoli di plastica, la ghiaia scricchiola sotto i nostri piedi che appaiono incredibilmente bianchi nei sandali, i fiori nei vasi danno un tocco di colore. E c’è persino un sottofondo lieve di cicale.
Tutto è così stupendamente perfetto, così incredibilmente simile alle nostre più rosee aspettative. È il migliore inizio di vacanza in assoluto. Gli occhi verdi di Mara ridono nei miei. È felice. Sono felice anch’io. Sorseggiamo le nostre birre, pregustando il pranzo appetitoso che placherà il nostro languore, restando in silenzio ad ascoltare le cicale, stringendoci la mano.
Lo scricchiolio della ghiaia ci annuncia l’arrivo dei nostri panini, sollevo lo sguardo aspettandomi di vedere la signora corpulenta, pronto a fare una battuta di circostanza, una di quelle cose gentili che dici alle signore corpulente di paese per sentirti dare una risposta salace, possibilmente con il bell’accento del dialetto, ma le parole mi muoiono sulle labbra.
Una donna viene verso di noi e la sua presenza mi lascia senza fiato. È la cosa più incoerente di quella giornata. La cosa più incoerente che abbia mai visto infatti.
È minuta e cesellata come una figurina, bianca come la luna, con una chioma di capelli nerissimi che le scendono disordinati sulle spalle. Il tipo di donna che ti aspetti di vedere in mezzo alla brughiera, con i capelli scompigliati dal vento e gli occhi colmi di pianto. Una figura tragica, un’amante abbandonata, una strega.
Si avvicina al nostro tavolo e i suoi occhi sono incredibilmente blu, con lunghe ciglia e un lieve accenno di occhiaie. Mara ha probabilmente notato il mio stupore, perché la sento ritrarre la mano dalla mia con un’energia stizzita.
Cerco di distogliere lo sguardo dalla cameriera, ma non posso fare a meno di farlo scivolare sul seno perfetto e bianchissimo che la maglietta scollata lascia intravedere.
‘Ecco a voi signori!’ dice e la sua voce porta l’impronta inconfondibile del dialetto, i suoi modi sono cordiali, gioviali anzi. Nessuna tragedia, nessun abbandono. Probabilmente è sposata con quattro figli, penso, mentre mi rendo conto di non aver ancora distolto lo sguardo da lei e lo sposto dal seno alla mano deliziosa, con le unghie rosa come conchiglie. Nessuna fede, nessun ornamento sulla sua persona. E a che scopo? Una creatura così non ha bisogno di niente.
‘Torno dopo per il caffè’ dice e di nuovo il suo accento e il modo di parlare offendono il mio orecchio e l’immagine mentale che ho di lei: sulla cima di uno scoglio, pronta a gettarsi tra i flutti, mentre i capelli le avvolgono la figura in mille spire nere come l’inchiostro.
Lei si allontana e ancora non sposto lo sguardo dai suoi fianchi sinuosi, dal suo incedere ondeggiante. Finalmente scompare nella sagoma buia della porta e io rimango un attimo sospeso dietro di lei.
Mara allunga una mano verso il tavolo e il suo gesto mi riscuote. La guardo, incapace di formulare un pensiero di senso compiuto, sono sicuro che non ha perso un attimo del mio straniamento, ma scusarmi equivale ad accusarmi.
E mi appare incredibilmente reale, banale, in confronto alla visione di sogno che ho appena avuto. Le gambe lunghe e bianche, disseminate dei pallini rossi di una recente ceretta, il filo di pancetta che i jeans stretti spingono in fuori, i capelli giallo paglia. La sua tenuta da mare, tutta gambe scoperte e trasparenze, che mi era sembrata così sexy solo pochi istanti prima, mi appare dozzinale adesso. E tuttavia so che la voce di Mara non ha la cadenza forte della cameriera, o quanto meno suona meno forte al mio orecchio. So che i suoi modi sono meno cordiali, forse, ma più gentili. So che l’ho sempre trovata sexy, che il suo corpo non cessa mai di eccitarmi, che ho sognato a lungo questa vacanza con lei.
Mara fissa il vuoto davanti a sé, mentre mastica il panino. Mangiamo senza parlare, ma non è più il silenzio appagato e pacifico di qualche istante prima, è un silenzio di indifferenza. Ci stiamo accanto senza vederci. E io aspetto con ansia il ritorno della cameriera.
Finiamo i nostri panini, beviamo le nostre birre. ‘Vuoi il caffè?’ Mi chiede all’improvviso. ‘Ma come… e la cameriera?’ vorrei dirle.
Ovviamente mi trattengo e le rispondo con eccessivo calore. Lei si alza e si dirige verso il bar. Per un attimo contemplo l’idea di raggiungerla. Accendo una sigaretta impaziente, la fumo tutta prima che Mara torni portando un vassoio di latta con due caffè sopra.
‘Vado al bagno.’ Mi alzo e mentre mi dirigo verso la porta sento il cuore accelerare i suoi battiti.
Entro nel bar, ma non c’è traccia della cameriera. Non c’è proprio nessuno, se non la signora corpulenta, seduta a uno dei tavolini intenta a leggere la Gazzetta dello Sport. Dobbiamo essere incappati nel posto delle visioni incoerenti.
Quando esco dal bagno, la signora è di nuovo dietro il bancone e Mara sta pagando il conto. ‘Ma come… e la cameriera?’. Non la rivedrò mai più, penso, mentre un senso di rabbia infantile si impossessa di me. Mi sento come un bambino al quale abbiano mostrato un giocattolo meraviglioso solo per portarglielo via. Mi sento defraudato.
Mara mi prende per mano ‘Andiamo?’. Provo a pensare a una scusa plausibile per restare, a cercare una frase da rivolgere alla signora per capire dove sia finita la donna dei miei sogni, ma non mi viene in mente niente e Mara mi sta trascinando già verso la strada assolata e deserta, verso la macchina rovente. ‘Voglio fare l’amore’ mi sussurra all’orecchio mentre usciamo dal bar e siamo costretti a chiudere gli occhi di fronte al sole accecante che inonda ogni angolo senza lasciare ombre.
Non capisco bene cosa intenda, la mia mente è impegnata a fissare per sempre nella mia memoria l’immagine della cameriera: i contorni del suo volto pallido, i suoi occhi blu, i suoi movimenti trasognati.
La macchina è incandescente quando entriamo e per prima cosa abbassiamo tutti i finestrini, poi faccio per mettere in moto ma Mara mi impedisce di girare la chiave.
‘Voglio fare l’amore’ Ripete. La guardo senza capire, mentre già sento un rivolo di sudore colarmi lungo la schiena. Lei porta una mano sul bottone dei jeans, lo slaccia e se li sfila senza alzarsi dal sedile.
‘Qui?’ Domando, e l’incredulità traspare dalla mia voce. Mara allunga una mano alla cerniera dei miei pantaloni e la fa scorrere verso il basso. Il mio sesso ha un moto di eccitazione che non ha niente a che vedere con i miei veri desideri. Perché penso che sia una follia, non possiamo fare l’amore lì, ci arresteranno: la macchina è parcheggiata a lato della strada, dalla parte opposta rispetto al bar, qualsiasi passante può vederci.
Ma la strada è deserta sotto il sole di mezzogiorno di un venerdì di agosto. Sento una sensazione di umido e mi rendo conto che Mara si è chinata sul mio pene e l’ha preso in bocca. La sua lingua ruvida e calda mi eccita e sento i testicoli gonfiarsi dentro i pantaloni. Mi abbandono sul sedile sperando che si limiti a farmi un pompino, alla fine è la soluzione meno rischiosa.
Osservo il suo corpo allungato di fianco a me, il suo sedere morbido nel costume turchese con i laccetti. E provo il forte desiderio di slacciarli. Do un’altra occhiata alla strada, sembra di essere dentro un film di Sergio Leone: solo sole e deserto. Allungo una mano e tiro la lycra elastica del fiocchetto, il costume si apre in due parti, lasciando libero il fianco di Mara. Accarezzo la sua pelle e faccio scivolare la mano verso i peli morbidi del pube.
Mara esprime il suo piacere con un mugolio e si sposta in modo da offrire un accesso più semplice alla mia mano. Sento i peli sotto le dita e poi la sua apertura calda e già bagnata. Faccio scivolare il mio dito su e giù lungo il clitoride, mi rendo contro che la mia carezza è un po’ brusca, ma in quella posizione non riesco a fare di meglio.
Continuo a tenere gli occhi sulla strada aspettandomi di vedere una porta aprirsi e qualcuno uscire da un momento all’altro. Guardo anche nello specchietto retrovisore, ma niente turba l’immobilità della calura estiva.
Mara è sempre più bagnata e i suoi gemiti sono sempre più frequenti. Improvvisamente si ferma e si alza, mi fissa con un paio di occhi lucidi nel viso accaldato e ripete per la terza volta ‘Voglio fare l’amore.’
Vorrei convincerla a spostarci di lì, almeno. A cercare un posto un po’ più appartato, qualsiasi posto andrà meglio. Ma lei si aggrappa al volante e, dandomi le spalle, fa passare una gamba alla mia sinistra. Mi spingo con il bacino verso il sedile, per lasciarle più spazio possibile, e lei appoggia le ginocchia ai due lati delle mie cosce. Poi lentamente si lascia scivolare sul mio sesso eccitato e duro. Affondo la faccia nei suoi capelli gialli e stringo le mani attorno ai suoi seni generosi. Lei si muove con sapienza su di me, su e giù, con calma. Faccio scivolare le mani sotto il costume, i suoi seni sono caldi e morbidi, stringo i suoi capezzoli duri tra le dita. Lei si muove più veloce.
‘Tu sei pazza.’ Porto la mia bocca sul suo orecchio, tra i suoi capelli che sanno di sole e di balsamo e di vacanza. Che sanno di lei. Sentire la mia voce così vicina la eccita, lo so. Quando siamo a letto insieme e voglio farla venire, le sussurro parole sconce e lei gode sempre.
E infatti inizia a muoversi più in fretta, ad ansimare di più.
‘Mi fanno male le gambe.’ Sussurra affannata.
‘Ah, ti fanno male le gambe adesso.’ Dico con la mia voce più suadente, mentre anche io ho il respiro rotto dall’eccitazione che cresce. Non stacco gli occhi dalla strada mentre tolgo una mano dai suoi seni, le afferro i capelli e mi avvicino di nuovo al suo orecchio.
‘Ben ti sta.’
Le tiro i capelli per accostarla ancora di più a me. ‘Ben ti sta!’ Ripeto minaccioso. Sento il suo sesso impazzire di piacere intorno al mio, mentre tiro e stringo fino a farle male. E mentre sento gli spasmi dell’orgasmo sconvolgere i nostri corpi vicinissimi, immagino per un’ultima volta di abbracciare il corpo minuto della cameriera, di perdermi nel blu misterioso dei suoi occhi. Di respirare il suo piacere.