Lavoriamo insieme anche se non abbiamo alcun contatto professionale e i nostri uffici sono separati da un ampio open space. E ci ho messo un paio di mesi prima di notare le sue spalle larghe, i suoi fianchi stretti, circondati da una cintura spessa di cuoio, i suoi grandi occhi di cioccolata, quel suo modo di camminare così… così maschio.
Ho iniziato a domandarmi che sapore e che consistenza avessero i suoi baci, che peso avrebbe avuto il suo corpo su di me. Ho iniziato a desiderare di slacciargliela, quella cintura.
Non so nemmeno se ci sia una donna a riempire le sue notti. Sembra un tipo timido, non particolarmente sedotto dal mondo femminile. Sono timida anch’io e fino a oggi ho sempre pensato che le nostre mani non si sarebbero incrociate mai.
Ma stasera, tornando a casa da un’ennesima giornata in cui le poche volte che ci siamo incontrati non mi ha rivolto un singolo sguardo che non fosse genericamente amichevole, do un’occhiata al telefono e trovo una sfilza di notifiche in una chat comune di lavoro. La apro più per noia che per curiosità ed eccolo lì, il mio dono inaspettato, il fatto inatteso che non mi farà dormire: una collega comune l’ha invitato nella chat di gruppo e io resto lì, come un’ebete, a fissare l’immagine che ha scelto per rappresentarsi, un ritratto di se stesso a carboncino.
Appoggio il telefono sul tavolo, come se fosse di ferro rovente e inizio a spogliarmi per la mia doccia serale. Sperando che mi porti consiglio.
Il tocco dell’acqua bollente sulla pelle non lenisce il desiderio che sento crescere dentro di me, un’inquietudine che non mi abbandona mentre mi asciugo con una meticolosità intesa a distrarmi dai miei pensieri più profondi. Senza successo.
Mi passo un velo di crema su tutto il corpo, poi, senza pensare, prendo il telefono, clicco sulla sua immagine e inizio a digitare
‘Ho voglia di fare l’amore con te. Non riesco a pensare ad altro.’
E premo ‘invia’ senza darmi il tempo di pentirmi. Almeno sono stata sincera.
Una strana euforia si impossessa di me: è la prima volta che faccio una cosa del genere, che seguo i miei istinti senza preoccuparmi dei ‘se’ e dei ‘ma’.
Fisso incantata il telefono, aspettando che le lineette diventino blu. E mentre il calore della doccia abbandona definitivamente la mia pelle, mi rendo conto di essere mezza nuda al centro della stanza, china sul telefono come se fosse un oracolo.
Metto il volume della suoneria al massimo e inizio a vestirmi controvoglia. Vorrei indossare calze autoreggenti e biancheria di seta per essere pronta al mio incontro hot, ma poi penso che la delusione potrebbe essere troppo bruciante e opto per una versione decisamente più low profile: pantaloni morbidi e felpa foderata di finto pelo, infilo il telefono in tasca e mi dirigo di malavoglia verso la cucina.
Scongelo una cena pronta nel microonde mentre continuo a tirare fuori il telefono ogni 2 minuti. Letteralmente. È questo l’intervallo di tempo che non posso fare a meno di notare ogni volta che fisso lo schermo e che l’orario mi appare a grandi numeri davanti agli occhi. Sono ancora incredula.
La prima volta che seguo il mio istinto e guarda che risultato!
Ho una lista di mille scuse pronte: potrebbe essere in palestra, è sicuramente uno di quegli uomini che si tiene in forma, altrimenti come lo spieghi quel fisico asciutto e scattante?
Poi un’altra immagine, più inquietante, si fa largo nella mia mente. Lo vedo in una cameretta immersa nella luce blu di un abat-jour che disegna stelle sul soffitto, di fianco al letto dove un bambino dorme sonni innocenti.
Nemmeno un intero barattolino di gelato e la fantasia forzata di lui a letto con un’altra riescono a risollevarmi da quest’ultima, deprimente immagine.
Il resto della serata lo passo facendo zapping finché un sonno pietoso non mi sorprende sul divano. Mi risveglio nel cuore della notte, infreddolita e indolenzita e arranco faticosamente verso il letto. Senza permettermi di pensare a come affronterò l’indomani in ufficio.
La sveglia mi strappa da un sonno pesante, ma la giornata davanti a me è troppo spaventosa e decido di dormire fino all’ultimo secondo utile. Il che mi lascia giusto il tempo di indossare la cosa più anonima che possiedo e precipitarmi in ufficio nella versione meno sexy di me da quando ho cominciato questo lavoro. Ovviamente è la prima persona che incontro quando supero la porta a vetri d’ingresso, ha in mano il suo caffè e mi rivolge il solito saluto amichevole e disinteressato di sempre, mentre io divento paonazza e non trovo le parole per rispondergli.
Rimango incredula ma, non appena mi siedo davanti al computer e tiro fuori il telefono, mi convinco che non possono esserci dubbi e le due lineette blu sono lì a togliermi ogni illusione: ha sicuramente ricevuto e letto il mio messaggio.
La giornata passa tra lavori da consegnare mentre aleggia la consueta euforia del fine settimana incombente. È venerdì e l’ufficio si svuota presto, alle cinque metà dei miei colleghi sono già usciti. Io ho finito il mio lavoro per la giornata, ma siccome ho già approfittato di più di un venerdì pomeriggio, ho deciso che è il caso di restare ancora un po’.
Tiro fuori il telefono e il suo messaggio mi colpisce come una secchiata di acqua fredda. Lo leggo senza nemmeno bisogno di sbloccare il telefono, perché dice solo: ‘Anche io’.
Mi alzo di scatto dalla mia poltrona, per sedermi di nuovo subito dopo. Sblocco il telefono e rileggo, tanto per essere sicura di non avere frainteso. Ma ancora una volta la chat è innocentemente chiara. Alle 16.42 ha risposto al mio messaggio delle 20.46 scrivendo ‘Anche io’.
Non so cosa fare, la mia testa è incapace di ragionare, ma il mio corpo… il mio corpo è in subbuglio. Sento le mani gelide e le ascelle umide di sudore e sono sicura che le mie guance siano in fiamme. Non resisto un attimo di più seduta, scatto in piedi, afferro il telefono e mi dirigo spedita fuori dal mio ufficio. Attraverso il grande open space ed entro nella sua stanza senza bussare. Solleva la testa quando mi sente entrare, si alza e viene verso di me. Io sono paralizzata mentre lo vedo avvicinarsi sempre più, superarmi e chiudere la porta. Siamo soli adesso, vorrei dire qualcosa, ma non so bene cosa e mi rendo conto che stringo ancora in mano il cellulare, quasi una prova che ho portato con me, una garanzia che quello scambio è realmente avvenuto.
Lui mi si avvicina e nel suo sguardo, solitamente calmo e gentile, vedo un’ombra di desiderio.
Solleva una mano, una mano sola verso di me e mi sposta una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Mi sfiora leggermente mentre lo fa e sento un brivido partire dalla base della spina dorsale e raggiungere tutte le estremità del mio corpo. Lentamente, con un dito, traccia i confini del mio viso, scende lungo il collo, scivola sull’osso sporgente della clavicola fino a raggiungere l’incavo tra i seni.
Io sono irretita dai suoi gesti e non mi muovo, non fiato nemmeno per paura di interromperlo.
Le sue dita si chiudono attorno al primo bottone della camicetta e, senza fretta, lo fa uscire dall’asola. La scollatura si fa leggermente più profonda e lui misura la nuova distanza, sempre e solo con un dito, fino a fermarsi al bottone successivo. E va avanti così, con lentezza esasperante, ogni volta fermandosi all’intoppo del bottone e ogni volta percorrendo con il suo dito leggero lo spazio di pelle nuda che si è guadagnato. Il mio petto si solleva in respiri sempre più profondi. È arrivato all’ultimo bottone e tira leggermente la camicia, che porto infilata nei pantaloni, per slacciare anche quello. Poi solleva la mano a scostare i lembi della stoffa, e il suo dito percorre l’orlo del reggiseno che indosso. Semplice, al limite della sciatteria. Penso con rammarico al completo di seta color avorio che avrei indossato se avesse raccolto il mio invito al momento opportuno.
Ma è giusto un attimo, perché non mi concedo la distrazione di pensare. Sono fatta di soli sensi adesso.
Percorre il seno, fermandosi con forza sul capezzolo turgido, scivola lungo il ventre scatenandomi brividi di piacere e appoggia la mano sulla cintura dei miei pantaloni. Sempre usando solo una mano la slaccia e la sfila con un movimento unico, che suona come una frustata, ma è invece una carezza.
Con la stessa lentezza esasperante sbottona il bottone dei pantaloni e fa scorrere la cerniera verso il basso, mentre io sento il mio sesso bagnarsi e le mie gambe fremere. Finalmente solleva anche l’altra mano e mi abbassa i pantaloni, che rimangono a metà gamba. Mi appoggia le mani sui fianchi e lentamente mi sposta fino a farmi appoggiare alla scrivania. I suoi occhi sono fissi nei miei, un’ombra di sorriso nel suo sguardo. Io continuo a guardarlo senza essere in grado di pensare, di reagire, di capire.
Si abbassa lentamente davanti a me e mi apre leggermente le gambe.
Il suo viso si avvicina pericolosamente al mio sesso e ho un sussulto di piacere mentre mi abbandono all’indietro, appoggiandomi con le mani sul piano del tavolo. Sento il fiato caldo del suo respiro, la sua bocca contro l’elastico dei miei slip, anche questi, ahimé, ben sotto lo standard del completo avorio in seta che giace, accuratamente piegato, nel mio cassetto profumato da sacchetti di lavanda.
Ma lui non sembra farci caso e con un bacio umido prende l’elastico degli slip tra i denti e inizia e tirarli verso il basso.
Mi lascio sfuggire un gemito di piacere, improvvisamente consapevole che la porta del suo ufficio non è chiusa a chiave e chiunque potrebbe entrare e trovarmi in quella posizione. L’idea mi dà una scarica di adrenalina che moltiplica la mia eccitazione.
Con la consueta metodicità trascina i miei slip più o meno all’altezza dei pantaloni e mi afferra per i fianchi con forza. Dopo tutto quel gioco di erotismo senza mani, la sua presa mi coglie alla sprovvista, ma non ho il tempo di stupirmi, che sento la sua lingua calda raggiungere il mio sesso. Sono così eccitata che inizio a gemere e a muovere i fianchi mentre lui cerca di tenermi ferma, sussulti di piacere scuotono il mio corpo ogni volta che la sua lingua si posa sul mio sesso turgido e bagnato. E sento l’orgasmo montarmi dentro, dopo pochi attimi. Lui mi appoggia una mano forte, che sa di me, sulla bocca a smorzare il suono dei miei gemiti, mentre con l’altra mi sostiene i fianchi. E non appena le ondate di piacere diminuiscono, mi gira velocemente, mi spinge sulla scrivania, sento il rumore della zip che si apre e dopo pochi istanti lo sento entrare dentro il mio sesso ancora bagnato, ancora pulsante di piacere. Mi sdraio sulla scrivania, per sentirlo entrare fino in fondo, mentre lui attira i miei fianchi al suo corpo ad ogni movimento.
Mi aggrappo al bordo della scrivania, e lo sento gemere in mugolii soffocati di piacere.
I suoi movimenti si fanno più veloci e l’orgasmo lo travolge, sento il fiotto caldo del suo sperma sulla schiena e lo sento abbandonarsi su di me. Restiamo un attimo così, avvinti, abbandonati sulla scrivania, tra il portapenne e il mouse.
Poi io faccio un movimento, come per liberarmi del suo peso e lui si scosta immediatamente, leggero. In un attimo mi sono tirata su slip e pantaloni e l’attimo dopo ho richiuso tutti i bottoni della camicetta. Lui mi porge la cintura, con un sorriso enigmatico e non posso fare a meno di pensare che ancora non gliel’ho slacciata, la sua.
Di nuovo fa quel gesto di spostarmi una ciocca di capelli dietro l’orecchio e mi fa una carezza sul viso. Ci sorridiamo e io mi dirigo verso la porta. È solo mentre la apro, che mi ricordo che avevo con me il cellulare, lui me lo porge e di fronte a lui, sulla soglia del suo ufficio, inizio a digitare.
‘Dobbiamo rifarlo’
‘Assolutamente’ è la sua risposta.