Siamo molto felici, anzi, siamo immensamente onorati di ospitare tra le nostre pagine il racconto di uno degli autori di narrativa erotica che amiamo di più, Inachis Io.
E, siccome le buone notizie non vengono mai da sole, sappi gentile lettrice, caro lettore, che non si tratta di una singola storia, ma dell’inizio di una vera e propria avventura erotica.
Scoprila con noi.
1. Sarò i tuoi occhi
Accosto al marciapiede e cerco di seguire alla lettera le tue istruzioni. Mi chino sul sedile del passeggero e prendo la borsetta. Mi tremano le mani e anche i gesti più semplici mi richiedono uno sforzo di concentrazione.
Probabilmente sto correndo un rischio. Non so come sono arrivata qui, a questo incrocio di periferia giusto all’imbocco dell’Aurelia, attraversando tutta Roma senza riconoscere nemmeno una via o una piazza. Io che questa città la abito e la amo, per una volta straniera in un paese sconosciuto, quello della tua mente e del mondo che racchiude.
La tua mente è come quando mi sveglio al mattino pochi secondi prima che suoni la sveglia, alle 6:59 per esempio. Non so come faccio, apro gli occhi nel mezzo di un sogno e vedo i led rossi che mi dicono “tra un minuto in piedi”. Mi succede così anche quando sono in viaggio con gli orari sballati dal jet lag, anche di pomeriggio, per dire.
Tu sei lei mie 6:59. Intuisci i miei desideri, ti fai vivo dopo mesi di silenzio proprio quando ne ho bisogno e anticipi di pochi istanti una mia fantasia.
Lentamente mi hai condotto a giocare, trasformando una conoscenza virtuale in fiducia reale.
E adesso che sono proprio sulla linea di confine tra questi due mondi, ho paura. Cazzo se ho paura. E se mi trovassi davanti un maniaco? E se avessi sbagliato tutto? E se fisicamente non mi piacessi, o io non piacessi a te? Nella tua ultima mail mi sei sembrato così sicuro: era una lista di istruzioni da seguire passo passo come prima di un decollo. Ma adesso mi domando se, dietro a quelle parole scelte con cura, non abbia anche tu paura di questo incontro. Forse è per questo che al punto quattro mi hai scritto:
4. Ti benderò e da quel momento sarò i tuoi occhi.
Deglutisco.
Apro la borsetta, prendo il portafogli di pelle e sfilo la carta di identità.
I punti precedenti dicevano:
1. Ti sposterai sul sedile del passeggero lasciando le chiavi nel quadro, chiuderai gli occhi e non li aprirai per nessun motivo. Io salirò dalla parte del conducente.
2. Lascerai sul cruscotto la carta di identità, mi farai uno squillo, poi spegnerai il telefono e lo metterai nella borsetta.
3. Accosterai alle 23 in punto sulla via Aurelia all’altezza del benzinaio Agip.
Con le mani tremanti eseguo, nella pancia mi sento docile e arresa anche se le gambe vorrebbero fuggire.
Appoggio la carta di identità sul cruscotto, mi sposto sul sedile del passeggero, prendo il telefono e ti faccio uno squillo, poi tengo premuto il tasto per spegnerlo, da questo momento nessuno potrà rintracciarmi.
Lo schermo segna le 22:59.
Con gli occhi chiusi stretti stretti, come quando da bambina giocavo a nascondino, mi dico che in fondo anche questo è un gioco e che mi sto nascondendo perché tu possa trovarmi. Non è come le altre storie che ho avuto, dove il sesso era dettato soprattutto dal fisico, dalla pelle. Qui il sesso è mente; non so nemmeno che volto hai, ho resistito alla curiosità di spiarti su facebook o di chiederti una foto.
Tu di me conosci la figa e le tette più della curva di una spalla, o della vena che mi corre lungo il collo e si gonfia quando faccio l’amore. Non sai il mio profumo, il sapore del mio sesso, l’intensità del mio sguardo, però sei entrato dentro di me più profondamente di molti che mi sono vicini ogni giorno. E scaccio con forza il pensiero di Ettore, che mi aspetta a casa e che non immagina nemmeno dove sono ora. È abituato alle mie partenze e ai turni improvvisi, mi ha visto uscire vestita da lavoro e con il trolley (il trolley è ora nel bagagliaio e io mi sono cambiata nel bagno di un bar), sa che tornerò domani in giornata. È abituato a non fare domande: credo che appartenga a quella categoria di uomini che preferisce non vedere per non dover capire.
Ma stasera Ettore è lontano dalla mia mente, tu invece devi essere molto vicino, anche se in questa oscurità volontaria sento solo il ticchettare della freccia che mi fa compagnia insieme allo spostamento d’aria di qualche tir che passa accanto.
Non sono mai stata pronta ai cambiamenti. Sono arrivati, semplicemente.
Ettore è comparso quando nella mia vita si è creato il vuoto che sai. Eravamo amici da tempo, eppure non mi ero mai accorta di lui. Poi, semplicemente, quando c’è stato bisogno, lui c’era.
Anche la mia prima esperienza con una donna è successa, senza alcuna premeditazione, ritrovandoci nella stessa stanza d’albergo durante una trasferta. Lei era bionda e minuta, il contrario di me. E aveva una lingua sottile e leggera che sapeva bene quali rotte percorrere. Anche lei, semplicemente, è arrivata: senza parole e senza progetti, mi ha preso la mano ed è entrata in stanza con me. Si è fatta strada con abilità oltre gli abiti e tra le mie pieghe. Ha trovato subito i miei punti deboli e li ha lavorati uno a uno, con caparbietà, fino a farmi arrendere più e più volte.
Quella notte ho capito che una donna può regalarmi un piacere che un uomo non sa come provocare: le sue dita hanno preso il controllo del mio corpo dall’interno, la sua bocca lo ha svuotato. Non l’ho più rivista: semplicemente, anche in questo caso, non abbiamo più avuto occasioni.
I cambiamenti nella mia vita arrivano senza bussare, se ne vanno senza chiudere la porta. Anche tu sei arrivato così, in una notte di solitudine, due naufraghi delle chat, protetti da un anonimato che in realtà ci consentiva di essere più veri che nella vita reale. E quando mi hai chiesto “Vuoi giocare?”, io non ho pensato se ero pronta, ho digitato semplicemente “E giochiamo”.
Non sono mai stata pronta ai cambiamenti. Non lo sono soprattutto ora mentre sento scattare la maniglia della portiera. Non so cosa devo immaginare, se la tua voce, che mi saluta e mi rassicura (conosco di te il lato più porco, ma ho visto anche quello tenero e protettivo nei momenti in cui la mia vita è stata davvero sul punto di scoppiare), se una mano ad accarezzarmi.
Invece sento solo il rollio della macchina mentre ti siedi al posto di guida e un profumo sconosciuto invadere l’abitacolo. È una piccola automobile, piuttosto vecchiotta, satura di odori e di ricordi. Ma il tuo, di odore, trova il suo spazio e sembra prendere possesso dell’auto e di me. Mi scivola dentro facendo il nido nei polmoni.
Inattese, le tue mani mi sfiorano la faccia. La tentazione di aprire gli occhi è fortissima, ma resisto per non rovinare tutto. Sento una benda di seta appoggiarsi sulla fronte, con un gesto mi fai chinare il capo in avanti, mentre stringi il nodo sulla nuca e aggiusti la fascia sugli occhi. Sei attento a non scompigliarmi i capelli e ti muovi con grazia e lentezza. È una posizione molto remissiva, arresa. Ora posso alzare le palpebre, ma il mio sguardo affoga nel nero.
- Ti benderò.
Tu, invece, taci. Ti sento regolare il sedile (ora la macchina beccheggia), girare la chiave e mettere in moto. Ingrani la marcia ma non parti. Ti sento muovere di nuovo, devi essere teso nello sforzo di tenere premuta la frizione e compiere qualche altro gesto che non riesco a decifrare.
Poi, improvvisa, la tua bocca sulla mia e, senza attendere, la lingua. Mi baci profondo e deciso e hai il gusto di un bacio conservato da tempo. Sai di vino rosso invecchiato, stappato per una grande occasione. Il tuo sapore e il tuo odore sono dentro di me, hanno scacciato la paura e aperto il mio corpo. Inarco la schiena contro il sedile, apro le gambe oltre il lecito appoggiando le mani sulle cosce come in un acquerello di Milo Manara che uso a volte come avatar.
Vorrei che mi mettessi una mano sotto il vestito. Ora. Vorrei che mi prendessi in auto, nel piazzale del benzinaio Agip sulla via Aurelia. Se volessi, potresti masturbarmi qui, esposta agli sguardi dei passanti. Impormi di godere con due dita dentro, bagnando il sedile. Ora.
Invece ti separi, prima la bocca, poi lasciando sfilare lente le mani dal mio corpo, seguendo i contorni di questo vestito nero ampio che ho messo su tua indicazione, come se facessi fatica a staccarle. Quando mi sfiori i seni e scendi fino all’orlo della gonna (che è risalita fino a metà gamba) ho un brivido che non so arrestare, scoppio a piangere.
Tu invece, apparentemente sicuro, ti incanali nel traffico tranquillo della notte. Guidi veloce ma senza arroganza. Soprattutto, non parli. Non cerchi di consolarmi e non mi chiedi che cos’ho.
Non conoscere la tua voce è una tortura che ho sopportato a fatica. Quante volte avrei voluto chiederti di chiamarmi, di dirmi qualcosa nel buio della notte guidando la mia mano e i miei pensieri. Ma sempre hai risposto: “Verrà il momento”. E ora che il momento è venuto, sembri aver dimenticato la promessa e mi devo accontentare di ascoltare il tuo respiro sotto al brontolare del motore, come una cagna si sazia di qualche briciola lasciata dal padrone.
Il pianto si trasforma in un moto di rabbia. Vorrei ribellarmi e dirti chi cazzo sei per giocare così con me. Come ti permetti di disporre di me, di lesinare le tue attenzioni e di negarmi quelle parole a cui ho diritto? Sento la strada scorrere sotto i nostri piedi e non so più se ho voglia di questo gioco o se preferirei strappare questa benda, farti accostare sulla corsia di emergenza e chiederti di scoparmi lì, senza riguardi, come un pegno che devi pagare per darmi soddisfazione di questi mesi di gioco virtuale.
E come il risveglio alle 6:59, come se mi leggessi dentro, accosti davvero.
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