Il sole violento filtra attraverso le spaccature della persiana inondando la stanza di strisce luminose, disegnando nuove prospettive sul corpo della ragazza allungato tra un tripudio di cuscini.
Un lenzuolo bianco e stropicciato si intreccia alle gambe arrossate dal sole. Circonda il polpaccio sottile, passa sotto il ginocchio dove una cicatrice bianca spicca sulla pelle infiammata, si allunga lungo la figura distesa. Copre a malapena il pube, ma lascia scoperto il delizioso derrière, piccolo e rotondo su cui la linea del costume disegna un triangolo minuscolo e bianco.
Si insinua sotto la vita sottile, mentre i seni delicati e pieni si appoggiano sul cuscino. Un braccio è allungato verso lo spazio vuoto, il viso è sommerso, tra un intrigo di capelli biondi e altri cuscini.
Sophie si stira un po’, le membra indolenzite dall’amore, si espande sul letto cercando spazi freschi, sorridendo a se stessa.
Ripensa alla sera prima Sophie, alla notte che è appena trascorsa.
Sente l’eco delle parole appassionate e sconosciute nell’orecchio, il fuoco dei baci audaci, il calore delle labbra impudiche che copre ogni centimetro del suo corpo. Ricorda la stretta sicura delle mani, le carezze profonde.
L’odore inebriante della pelle leggermente salata e il calore insostenibile del corpo abbronzato.
Arrossisce mentre rivede la testa scura e ricciuta tra le sue cosce bianche, mentre ricorda le espressioni di piacere che si è lasciata sfuggire. Che lui le ha tirato fuori senza sforzo.
Si porta una mano leggera sul sesso e lo sente un po’ indolenzito, eppure la voglia di lui non è sazia e sta montando di nuovo prepotente dentro di lei.
Ripensa al primo momento in cui l’ha visto. Impeccabile nel completo scuro d’obbligo, tuttavia indossato con una certa trasandatezza, come a non prendersi troppo sul serio. Le aveva stretto la mano tra le sue e l’aveva guardata dritta negli occhi, con un’aria di intesa che lei aveva trovato quasi offensiva. Con una specie di proposta indecente. Era sparito quasi subito e lei aveva tirato un sospiro di sollievo. Ma, dopo un po’, si era ritrovata a cercarlo tra la folla della festa, nelle stanze enormi della vecchia casa, salvo ritrarsi di scatto ogni volta che lo vedeva.
E, ogni volta che lo vedeva, era in compagnia di qualche splendida ragazza, di quelle con i capelli corvini e lo sguardo sfrontato come il suo. Lo aveva visto chinarsi per sussurrare all’orecchio, porgere calici. Ridere con quella risata piena che metteva in evidenza i suoi denti bianchi da lupo.
E lei si era ritrovata prima a rimpiangere quell’occhiata sfrontata che le aveva rivolto appena si erano incontrati, e poi a domandarsi se non se la fosse solo immaginata. Poi, mentre cercava di intavolare una conversazione stentata con un tipo basso e carino, ma in realtà valutava dentro di sé se non fosse arrivato il momento di andarsene, lui era ricomparso dal nulla, con un flûte in mano. E lei non sapeva come, ma neanche si era accorta che il tipo basso e carino non era più con loro, perché era persa nei suoi occhi color nocciola, nella piega beffarda della sua bocca.
Si erano scambiati i numeri di telefono: lui si era offerto di mostrarle le spiagge più belle dell’isola e lei era pronta a tornare in albergo, soddisfatta di avere il suo contatto, già protesa a immaginare l’indomani, quando lui era tornato un’altra volta da lei. L’aveva aiutata a indossare la sciarpa di seta, circondandola un poco con le braccia, giusto quel poco per farle sentire il calore del suo corpo.
Si era offerto di accompagnarla in albergo e lei aveva accettato felice, poi aveva temuto perché una ragazza era sopraggiunta. L’aveva preso in disparte con modi che a lei erano sembrati esageratamente aggressivi ma che forse in quel posto erano la norma. Si erano scambiati poche parole di fuoco che lei non aveva capito e lui aveva lasciato un bacio veloce sulle labbra della ragazza prima di prendere lei sottobraccio e guidarla fuori dal portone, giù lungo la vecchia scalinata.
Appena erano finite le scale lui aveva ritratto il suo braccio e lei aveva pensato che nulla sarebbe successo. Che si era immaginata tutto. Che non aveva capito niente.
Ma poi, a metà strada, come rispondendo a un impulso impellente, lui l’aveva stretta tra le braccia e spinta contro il muro e l’aveva baciata con forza sulle labbra e poi sul collo e giù giù fino al seno. E lei aveva la pelle in fiamme per il troppo sole e la barba ispida di lui la irritava come carta vetrata, ma per niente al mondo lo avrebbe fermato.
Le aveva infilato la mani sotto la gonna, le aveva strette attorno al suo sedere e l’aveva spinta contro il suo corpo, a farle sentire la sua erezione.
Poi l’aveva lasciata andare improvviso e l’aveva presa per mano ‘Vieni’, le aveva detto e l’aveva guidata lungo le vie strette della città vecchia, sotto la luce arancione dei lampioni. E ogni tanto si fermava e le dava un bacio bruciante sulle labbra.
Aveva aperto un vecchio portone, l’aveva guidata lungo una scala fiocamente illuminata e con i muri un po’ scrostati. E tuttavia bella nella sua trascuratezza. Come lui.
Erano arrivati davanti a una porta lucida e lui si era girato verso di lei e si era portato un dito sulle labbra e il suo sguardo beffardo si era fatto ancora più ridente mentre girava piano la chiave nella toppa e lasciava uscire un soffio tra le dita.
Erano entrati in un ingresso in ombra e lui le aveva tolto le scarpe e l’aveva guidata lungo un corridoio lungo e buio, dove si muoveva con sicurezza. Aveva aperto una porta e lei si era ritrovata in una stanza ampia e bellissima, illuminata da una luce calda, con tappeti di cotone che lasciavano intravedere qua e là il disegno a mosaico del pavimento.
E lui l’aveva presa subito, così com’erano, con ancora i vestiti addosso, in piedi contro la porta.
Poi l’aveva spogliata lentamente e avevano fatto ancora l’amore e questa seconda volta lei aveva goduto a lungo. Si erano addormentati di colpo, estenuati, e lei si era risvegliata nel cuore della notte in preda a una sensazione che non sapeva capire e che ci aveva messo un po’ a decifrare, prima di rendersi conto che lui la stava leccando e lui le aveva infilato un dito dove nessuno mai l’aveva toccata e lei aveva provato un orgasmo così forte che aveva continuato a tremare tra le sue braccia per un tempo lunghissimo.
A tutto questo pensa Sophie, mentre si alza indolente dal letto e si avvicina alla persiana per spiare il giardino esotico, inondato di sole e di palme che si apre sotto di lei.
Già pensa, Sophie, a come sarebbe fare l’amore con lui ogni notte, restare lì per sempre, fare di quella terra straniera la sua casa. Scoprire tutti i sapori e gli odori di quell’uomo sconosciuto. Crescere un bambino con gli occhi scuri come i suoi.
Lui torna nella stanza con una tazzina di caffé che le porge con un sorriso. Si baciano.
‘Devi andare’ Le dice lentamente, in modo che capisca.
‘Devo uscire e non puoi restare qua.’
Le porge i suoi vestiti. Non c’è fretta nei suoi gesti, ma è perentorio.
Lei è confusa, arrossisce e si veste in fretta. L’abito elegante della sera prima stride stranamente con la penombra della stanza e striderà ancora di più quando sarà per strada, nei vicoli stretti della vecchia città. Lei lo sa.
Le porge le scarpe mentre già apre la porta, già la guida fuori dalla stanza e lungo il corridoio con le pareti ricoperte di quadri. Giù per la scala scrostata e trascurata.
Apre il portone e lei chiude gli occhi nella luce accecante del sole che fa risplendere il suo vestito in maniera incongrua nella mattina d’estate.
Le lascia un bacio veloce sulle labbra.
‘Ti chiamo io.’ Dice prima di sparire dietro l’angolo di un vicolo.
Prima di lasciarla attonita come una sirena spiaggiata.