Siamo arrivati alla fine di un’avventura erotica che è cominciata qui, e proseguita qui e qui. I nostri amanti sono, letteralmente, al capolinea…
Il rapporto che ci lega è fatto di incontri fugaci che infondono alla nostra relazione il fiato appena necessario per sopravvivere fino all’appuntamento successivo. E io ci arrivo, ogni volta, in apnea. Con quel desiderio di lui che mi viene da paragonare alla sete: una necessità costante che non mi lascia modo di pensare ad altro, che non posso ingannare o ignorare. Un bisogno fisico e vitale.
Non so se sia così anche per lui, so che non mi basta più. E sono stati questi giorni insieme a darmi la misura di quanto non mi basti più.
È questo il tenore dei miei pensieri quando mi risveglio all’alba del quarto giorno, l’ultimo che ci è dato trascorrere insieme: domani prenderò un treno che mi riporterà alla mia città e alla mia vita senza di lui. Allungo una mano, come d’abitudine verso lo spazio che so essere vuoto del letto, consapevole di aver dormito, per un’altra notte, ai bordi di esso, e il contatto con un altro corpo mi fa sussultare e balzare a sedere.
Prima di rendermi conto che la più logica conseguenza del trovarsi un corpo addormentato a fianco, nello stesso letto, dopo una notte d’amore, è che questo corpo appartenga alla persona con cui si è fatto l’amore, faccio in tempo a passare in rassegna almeno un paio di alternative francamente abbastanza assurde.
Quando finisco di formulare la seconda ipotesi (uno sconosciuto si è introdotto nella camera dell’hotel che mi ospita per dormirmi a fianco) sono lucida abbastanza per capire che non c’è nessuno sconosciuto: l’uomo accanto a me è il mio amante.
Da quattro mesi.
Come se avessi formulato questo pensiero ad alta voce, o meglio urlando, Stefano balza anche lui a sedere sul letto e mi guarda con un’espressione atterrita. La sua faccia terrorizzata e i suoi capelli di prima mattina sono talmente buffi che non riesco a trattenermi e scoppio in un’irrefrenabile risata.
È la prima volta che rido in quattro giorni.
***
Mentre sgattaiolo in mezzo al traffico con la mia Vespa, cerco di concentrarmi sugli impegni di lavoro che mi aspettano per la giornata ma il fatto di aver lasciato tutto a metà, ieri, non mi aiuta. Spero che Tina abbia le idee più chiare delle mie e, nel momento esatto in cui penso alla mia segretaria, mi viene in mente la sua faccia severa e lo sguardo di riprovazione che rivolgerà alla mia camicia del giorno prima: non ho il tempo di passare a casa a cambiarmi, perché oltre ad avere dormito con lei, ho anche dormito troppo e adesso sono in ritardo.
Lo sapevo che sarebbe successo, è la semplice e inevitabile conseguenza di una serie di concessioni imperdonabili che mi sono fatto. Prima di tutto quattro notti insieme sono troppe, ce lo siamo sempre detti, il vecchio schema del week end breve, dal venerdì al sabato, funzionava perfettamente e la notte singola infrasettimanale anche meglio, non c’era nessuna ragione di cambiarlo. Poi, non solo, non pago delle notti, c’è stata anche la giornata di ieri. È inevitabile poi che si finisca così.
A letto insieme.
***
Mi risveglio di nuovo e questa volta sono sola davvero, ma l’immagine di Stefano arruffato e sbigottito dentro il mio letto mi stampa un sorriso sulla faccia che sarà difficile cancellare.
Mi sollevo a sedere sul letto e allungo lo sguardo verso il tavolo: come previsto, una ricchissima colazione è imbandita e, dopo tre giorni in cui mi sono praticamente nutrita di solo sesso, mi rendo conto di avere una fame da lupi. Mi avvicino al tavolo e osservo la valigia che abbiamo sempre tenuto aperta con il suo voluttuoso contenuto visibile agli occhi di tutti: una serie di creazioni il cui scopo erotico è abbastanza evidente, anche se non urlato, e che sicuramente ci ha reso la leggenda dell’hotel.
Osservo gli oggetti che abbiamo usato insieme: il frustino che appare così innocuo ma di cui conservo ancora i segni e le manette che mi hanno ridotto in suo potere. Osservo il vibratore dalla forma sinuosa e sono tentata di farci un altro giro; lo accarezzo, la sua superficie è impalpabile, le sue curve mi tentano. Poi la mia attenzione si sposta sugli unici tre oggetti che non abbiamo ancora provato: un paio di sfere vaginali, un plug e uno strumento di cui davvero non saprei intuire la funzione. E un’idea improvvisa mi sorprende.
***
Effettivamente l’arrivo in ufficio in ritardo e con indosso, chiaramente, il vestito del giorno prima, non è stato indolore. Tina mi ha rivolto un’occhiata delle sue, di quelle che bastano da sole a dirti tutto quello che pensa di te e tutto quello che pensa di te non è bello. Come se l’occhiata non fosse abbastanza, si è introdotta nel mio ufficio e mi ha iniziato a snocciolare le conseguenze nefaste della mia defezione di ieri. Il fatto che nei cinque anni in cui lavoriamo insieme non l’abbia mai lasciata sola, così senza preavviso, deve avere scosso il suo equilibrio. L’ho ascoltata rassegnato, ho tirato un sospiro di sollievo quando se ne è andata e ho iniziato finalmente a lavorare.
Adesso è quasi ora di pranzo e mi sento, finalmente, ritornato padrone di me stesso: ho smaltito un po’ di lavoro accumulato e mi concedo un attimo per pensare, non alla notte passata e nemmeno a quella a venire, ma almeno agli aspetti pratici dell’organizzazione. Potrei fare un salto a casa a farmi una doccia e cambiarmi in modo da essere pronto ad andare direttamente da lei appena finisco di lavorare, possibilmente non troppo tardi…
Lo squillo del telefono interno mi interrompe, cosa potrà volere ancora?
‘Sì, Tina?’ Metto una vena di seccatura nella mia domanda, per evitare ulteriori sbrodolamenti.
‘C’è una signorina qui per lei.’ Il tono di Tina è oltraggiato, io non capisco.
‘Una signorina?’
‘Non mi ha detto il suo nome, dice che avete un appuntamento.’ Adesso il tono vuole suggerire scetticismo. Ma qualcosa si è smosso in una parte irrazionale del mio corpo, una parte che sto viziando un po’ troppo ultimamente.
‘La faccia passare.’ Dico, e chiudo prima di dare tempo alla mia segretaria di formulare altri sentimenti.
***
La faccia che fa quando mi vede entrare se la batte con quella di stamattina, quando si è reso conto di aver dormito con me. Si alza e mi viene incontro e mi bacia con quei baci che mi squagliano.
‘Come hai fatto a trovarmi?’
Vorrei dirgli che l’indirizzo del suo ufficio appare accanto al suo nome in 0.67 secondi su Google, e che non ho bisogno di farlo seguire come lui ha fatto con me, ma preferisco approfittare della sua ingenuità.
‘Ho le mie fonti.’ Dico misteriosa.
‘È una sorpresa bellissima.’
‘E le sorprese non finiscono qua.’ Gli sussurro con un sorriso misterioso.
Lui mi sorride a sua volta, un po’ scettico, e mi rendo conto che in tutti questi mesi, in effetti, non gli ho mai fatto una sorpresa.
Mi slaccio il soprabito, sotto indosso un abito da sera argentato e lui per un attimo trattiene il fiato. Quando ci incontriamo è sempre lui a scegliere i miei vestiti: un’abitudine che è cominciata per caso e che è diventata parte del nostro gioco, un gioco al quale mi sono sempre prestata con piacere. Non oggi.
‘Decisamente le sorprese non finiscono qua…’ Mormora lui attirandomi a sé. Tocca la spallina del vestito con una mano, saggia la stoffa pesante. Io mi appoggio ancor più al suo corpo, e la sua gamba finisce tra le mie. Mi abbassa una spallina e si china a percorrere la curva che parte dal mio orecchio con le sue labbra ardenti. Un brivido mi percorre, mentre aspetto che la sua mano scenda più in basso.
Non devo aspettare molto.
Le sue labbra procedono verso il mio seno, le sue mani percorrono la mia schiena, si stringono sul mio sedere… trattengo il fiato. Mi solleva il vestito, sa che sotto sono nuda e vuole essere il prima possibile pelle contro pelle. Bingo!
Eccola qua, la tua sorpresa.
***
Mi stacco da lei come se avessi preso la scossa, il mio sesso impazzito. E l’espressione di trionfo che leggo nei suoi occhi mi conferma che non mi sono sbagliato. Faccio scivolare di nuovo la mano tra le rotondità voluttuose del suo sedere, sulla sua pelle di seta, percorro la linea sinuosa fino a che le mia dita non urtano, per la seconda volta, contro una piccola sfera di metallo, calda come il suo corpo ma decisamente estranea ad essa. Mi stacco definitivamente da lei, le giro intorno, mi metto in ginocchio e la vista della piccolo sfera, ornata da un disegno intricato, annidata tra le sue natiche mi manda in delirio: ha indossato il plug anale che avevo riservato per la nostra ultima notte insieme! Tocco la sfera con le dita, la tiro e la ruoto leggermente e lei geme languida in risposta, chinandosi un po’ in avanti per appoggiare le mani sulle scrivania.
Con un unico gesto scatto in piedi e la prendo tra le braccia, la adagio sul tavolo, le sollevo il vestito, le sollevo le gambe e me le appoggio sulle spalle. Il suo sesso si apre davanti a me ed è allora che noto il piccolo cordino: ha dentro di sé anche le sfere della geisha…
‘Non mi dire che hai il terzo in borsetta.’ Le chiedo riferendomi all’ultimo oggetto che voglio provare insieme a lei, un dildo dalla forma a dir poco fantasiosa.
‘Non c’entrava.’ Mi risponde lei.
***
‘Non dimenticare che siamo in un luogo di lavoro.’ Dice. Poi mi scivola tra le gambe e sento la sua bocca bollente appoggiarsi su di me. Inizia un movimento lentissimo, su e giù che mi percorre tutta la lunghezza del sesso, mi allungo sulla scrivania mentre stringo la sua testa tra le gambe. Inizio a gemere lentamente, ma lui si distacca da me e mi sussurra ‘Shhh…’ e il soffio del suo respiro è eccitante quasi quanto lui. Ricomincia il suo percorso interminabile e, dopo un po’, inevitabilmente, ricomincio a gemere.
Si stacca di nuovo (gemito di disappunto) e si avvicina al mio viso con le labbra che sanno di me:
‘Dovrò tapparti la bocca allora.’
Prima che abbia il tempo di realizzare cosa sta succedendo lui mi ha preso tra le braccia e girato a pancia in giù.
Con una mano mi tappa davvero la bocca, con l’altra lo sento tirare delicatamente il plug che indosso. Fa resistenza all’inizio, ma basta che mi abbandoni al suo abbraccio e al sostegno del tavolo per sentirlo scivolare fuori dal mio corpo, con una sensazione strana che mi riempie il corpo di brividi. Ma dura pochissimo, perché un attimo dopo sento la punta del suo membro prendere il posto del plug e lentamente, lentissimamente spingersi dentro di me. Emetto un lungo gemito di piacere nella sua mano.
Comincia a muoversi, all’inizio lentamente, poi aumenta la velocità fino a raggiungere un ritmo stabile che mi spinge contro il bordo del tavolo ad ogni colpo e fa vibrare dentro di me le sfere che indosso. Io continuo a gemere contro la sua mano, sempre più forte mentre ogni tanto anche lui si lascia sfuggire un grugnito di piacere e sento l’orgasmo montare dentro di me. Quando finalmente esplode, va avanti in cerchi infiniti, come quando getti un sasso nell’acqua, e io perdo la cognizione del tempo e dello spazio.
***
Camminiamo fianco a fianco, come abbiamo fatto ieri. Non commento la faccia che ha fatto Tina quando ci ha visti uscire dal mio ufficio. E nemmeno quella di quando le ho detto che mi prendevo la giornata libera, per la seconda volta di fila.
L’aria è pungente e mi immagino che lei debba avere freddo con quel cappottino addosso e quel vestito sotto e, sotto ancora, niente. Il pensiero che solo quei due strati leggeri di stoffa mi separino dal suo corpo nudo mi fa rabbrividire di eccitazione e la stringo a me, mentre affondo la bocca tra i suoi capelli che profumano di sesso. Lei mi stringe a sé a sua volta, poi si solleva sulle punte per sussurrarmi all’orecchio:
‘Per fortuna che abbiamo ancora il terzo da provare’ Mi sorride sorniona,
‘Altrimenti non sapremmo cosa fare.’
Ridiamo entrambi, con quella faccia un po’ stupida delle persone felici.
***
La giovane donna si stringe nel soprabito leggero mentre spia l’arrivo del treno. Attorno a lei la solita folla delle stazioni all’ora di pranzo, studenti con voluminosi zaini, uomini in viaggio di lavoro, donne sole, come lei. Per qualche ragione la sua figura spicca tra le altre, un po’ incongrua; sarà per quella valigetta di pelle dall’aria un po’ rétro che tiene accostata al corpo con entrambe le mani, sarà perché le temperature si sono abbassate velocemente negli ultimi giorni e il suo trench beige e le sue gambe nude si distinguono tra la folla già infagottata in giubbotti pesanti e pantaloni lunghi.
Annunci e fischi di treni in partenza. Un uomo la spia da lontano, nascosto dietro un pilastro. Altri annunci, il treno è in arrivo e la folla inizia a disporsi lungo il marciapiede, lei controlla il biglietto per leggervi il numero del posto e della carrozza, si mette in fila dietro agli altri passeggeri. L’uomo le si affianca, allunga la mano verso la valigetta, gli occhi chiari di lei si riempiono di sorpresa mentre istintivamente trattiene la valigetta.
C’è confusione e movimento attorno a loro, ma non se ne curano.
‘Resta?’ Le chiede lui.
Passa un tempo, né lungo né corto, ma a lui si ferma il cuore.
‘Sì.’ Dice lei.
Gli dice sempre di sì. L’uomo la prende per mano e la guida fuori dalla folla, lungo la banchina, verso l’uscita.
‘Dove andiamo?’ Domanda lei
‘A casa, Irene, andiamo a casa.’ Risponde lui.