Non sono il tipo di maschio che ha quel chiodo fisso lì e me ne sono sempre fatto un vanto. Sono il classico tipo che si fa gli affari suoi e che nello spogliatoio, dopo la partita, si fa la doccia in fretta senza ascoltare i racconti degli altri. Fantasiosi o meno.
Sono il tipo di uomo che piace alle donne.
Ma un giorno ti è scivolata una pallina dalle dita, stavi cercando di sistemare un orecchino con le tue mani sapienti, che portano pace e ordine là dove c’erano caos e ansia. Ho sentito la tua imprecazione interrotta e ho fatto capolino nella stanza per vedere cosa stava succedendo. Tu eri lì, con la catenella dell’orecchino in mano mentre la pallina rimbalzava con il rumore di un sassolino, sbatteva contro la gamba di un tavolino e rotolava verso una parete, sotto il mobile dove tengo i liquori.
Lentamente eri scesa sulle tue ginocchia, ti eri piegata all’indietro, come la modella di una vecchia pubblicità del Rabarbaro Zucca, con quel tuo corpo elastico che tutto può, e avevi gettato uno sguardo sotto il mobile. Anche io mi ero chinato, certo in modo meno atletico. A quel punto ti eri allungata in avanti verso la pallina che, si sa, era finita nell’angolo più distante.
Mi ero alzato di scatto, sentendo il sangue abbandonare improvvisamente la testa e, in preda a un piccolo capogiro, mi ero ritrovato con gli occhi appoggiati sul tuo sedere rotondo, mentre più tu ti abbassavi, più lui si alzava.
È stato in quel momento che ho provato per la prima volta il desiderio di mettertelo dentro, di possederti anche lì. Tu sei riemersa trionfante con la pallina stretta tra le dita, la faccia arrossata e gli occhi lucidi ed è come se per un attimo avessi capito, dovevo avere un’espressione ben strana.
Mi hai guardato stupita. ‘Andiamo che è tardi’, è quello che ti ho detto, mentre il sesso mi si tendeva nelle mutande.
Ho iniziato a coltivare questo desiderio segreto, a nutrirlo immaginando le sensazioni che avrei provato, lo scenario in cui sarebbe accaduto, ma più che altro le tue reazioni. Volevo vedere la tua faccia mentre lo facevo, e mi masturbavo provando a immaginarla.
Non volevo parlartene e non l’ho fatto. Ho atteso paziente, come un cacciatore attende il passaggio della sua preda.
E adesso è arrivato il momento, lo sento. Sono pochi mesi che facciamo l’amore e i nostri incontri non hanno ancora smesso di cambiare, non siamo ancora caduti nella routine. Ci sono ancora dei momenti in cui il tuo odore mi sorprende e mi colpisce come qualcosa di nuovo. O forse hai solo cambiato profumo.
Abbiamo cenato a casa, stasera, e non so come il discorso è caduto su Ultimo tango a Parigi. Ci siamo scambiati sorrisetti complici e ho visto una luce di consapevolezza nel modo in cui mi hai guardato e ho immaginato che in questo tempo tu abbia sentito il mio desiderio, lo abbia capito, interpretato, che alla fine non è così che funziona tra gli amanti? Che non c’è bisogno di parole, che i corpi parlano da soli?
Ci siamo versati un whisky dopo cena, è sabato e ci concediamo tutto. È quello che dici, sempre con quell’aria maliziosa, con quell’idea di sottindere qualcos’altro.
‘Proprio tutto?’ domando io allungando una mano verso di te. Affondo le dita nei tuoi capelli morbidi e le porto alla base del tuo cranio, ti stringo mentre tu pieghi la testa sulla spalla in un gesto di affetto e ritrosia.
‘Tutto’ rispondi con un filo di voce.
Mi alzo impetuoso e ti bacio sulle labbra. Sono morbide e si aprono cedevoli alla mia lingua. Esploro la tua bocca mentre faccio scivolare una mano sul tuo collo, dentro la tua scollatura, sotto il tuo reggiseno. Con l’altra mano faccio spazio sul tavolo davanti a te. Poi mi siedo vicinissimo e ti giro verso di me, in modo che siamo uno di fronte all’altra.
Tu non hai mai smesso di baciarmi e adesso infili le dita tra i miei capelli. Ti allargo le gambe, ne blocco una appoggiandoci sopra la mia, mentre l’altra la tengo divaricata con la punta del mio ginocchio.
Indossi una camicia morbida, che ho già sbottonato per buona parte e una gonna della stessa stoffa e della stessa fantasia con una fila di bottoni che prosegue quella della camicia. Non mi preoccupo di sbottonarli, infilo le mani sotto la stoffa morbida e le faccio risalire lungo le tue gambe, la superficie setosa delle calze lascia spazio al pizzo e poi alla tua carne. Le faccio risalire ancora, pregustando la sorpresa del tuo sesso nudo, mi hai abituato così. Le nostre bocche continuano la loro conversazione, ma sono come un rumore di fondo, il brusio distratto di una platea quando in realtà tutti aspettano di vedere cosa succederà sul palco.
Sento la carne morbida e piena dei tuoi glutei tra le dita e non posso fare a meno di stringerla forte, più e più volte, mentre tu sussulti di piacere. Poi cerco di spostarle verso il basso, ma il tuo peso mi impedisce i movimenti.
Per questo libero le tue gambe e inizio a sollevarti. Tu ti alzi in piedi e io ti attiro a me, che sono ancora seduto, in modo che tutto il tuo corpo aderisca al mio. La tua bocca non si stacca dalla mia, le tue braccia mi circondano il collo, i tuoi capelli mi avvolgano il viso e io sono libero finalmente di riprendere il mio gioco. Le mie dita percorrono la linea voluttuosa che divide le tue natiche e si insinuano tra le tue carni, penetrano fin dove è possibile, raggiungo la mia meta e tu emetti un gemito di piacere dentro la mia bocca. Ritraggo il dito e lentamente, dandoti il tempo di capire quello che sta succedendo, lo infilo nel nostro bacio, tra le nostre bocche.
Il mio sesso sta esplodendo nei pantaloni. Tiro fuori il dito umido e lo rimetto velocemente al suo posto, tu gemi e, con un gesto che mi sorprende, mi aiuti allargandoti con le mani. Impazzisco di piacere, mi stacco bruscamente dalla tua bocca (tu ansimi, i tuoi occhi son due fessure di desiderio e io non posso fare a meno di fermarmi un istante a guardarti), ti giro e affondo il mio viso nella tua carne. Tu ti schermisci, gemi un diniego che non raggiunge il mio cervello, mentre cerco di farmi strada con la lingua. Allora provi a spostarmi la faccia con la mano.
Mi alzo di scatto, ti afferro il polso e ti spingo sopra il tavolino. Sei in mio potere, i capelli nascondono buona parte del viso, ma non il luccichio del tuo sguardo eccitato. Ansimi sollevando il busto, il tuo polso stretto tra le mie dita. Minuscolo. Fragile.
Lo lascio andare (tu lo fai ricadere senza vita al tuo fianco) e allungo una mano verso la bottiglia di olio. Me ne verso un po’ nel palmo della mano, e da qui lo faccio colare su di te e con un dito lo guido lungo la spaccatura. Lo spingo dentro con il mio dito e tu emetti un suono gutturale che non ho mai sentito. Prendo ancora un po’ di olio, perché questa è la prima volta che lo facciamo e forse per te è la prima volta in assoluto. O forse questo è solo quello che voglio immaginare. Questa volta il mio dito entra senza fatica e tu di nuovo emetti quel suono che raggiunge il mio scroto senza passare dal via.
Mi slaccio la cintura dei pantaloni, li lascio cadere a terra insieme ai boxer e appoggio il mio sesso tra le tue natiche, lo faccio scorrere sulla superficie unta: il contatto del tuo corpo, come al solito, mi eccita. ‘Shhhh’, ti mormoro. ‘Shhh’ ripeto piegandomi sul tuo orecchio, raggiungendoti col mio fiato caldo. Lentamente vedo che la presa delle tue dita si allenta, il tuo corpo si rilassa e con una spinta lunga e prolungata riesco a entrare dentro di te.
Tu emetti un gemito e una specie di piacere cieco e sordo si impossessa di me. Inizio a muovermi dentro e fuori, piano, leggero, tu fremi sotto di me. Non mi fermo, non posso. Il mio piacere è insostenibile, vorrei passarlo a te.
Sono tentato di chiudere gli occhi, ma non è forse l’espressione del tuo viso a rendere questo piacere così immenso? Resto ad occhi aperti, sono vicinissimo all’esplosione, con uno sforzo sovrumano, mi ritraggo da quella tua cavità stretta e lussuriosa e lascio che il godimento raggiunga il culmine fuori di te. Mi abbandono sul tuo corpo, i miei umori tra il mio petto e la tua schiena ansimante. Le tue gambe tremano sotto le mie.
‘Lo voglio fare ancora.’
Non ti chiedo se ti è piaciuto, non ti dico che è stato bello. Le parole escono sincere e spontanee.
‘Se sarai bravo.’ ribatti tu.
E io sbotto a ridere.