Questa storia è un regalo che ci ha fatto Linda Lercari, scrittrice, attrice e…  kendoka, autrice bestseller su Amazon con il breve romanzo erotico ‘La Giusta Punizione‘, di cui ti abbiamo parlato qua. Ci racconta di una coppia di lungo corso, e di un tentativo di riaccendere la passione andato molto a buon fine.

Ho scelto il ristorante perfetto. Musica classica a un volume appena accennato, luci soffuse. Le tovaglie nere e piatti di porcellana finissima, per non parlare del piccolo bouquet fragrante come centro tavola.
È il nostro anniversario. Quindici anni di matrimonio e lei è ancora bella come il primo giorno: altezza media, ma gambe toniche e ben tornite, un vitino da vespa – purtroppo non siamo stati benedetti dai bambini che avremmo voluto – polsi sottili e un seno, oh, il seno, abbondante e ancora alto.

Per l’occasione è andata dal parrucchiere e i capelli castani sono avvolti in uno chignon ricercato e intrecciato con piccoli punti di luce. L’abito nero e scollato non è troppo provocante, ma stuzzicante. La guardo e sorrido. Lei ricambia il mio sguardo, gli occhi pieni d’amore. Gustiamo un antipasto raffinato e i sapori delicati sono un ottimo argomento di conversazione. Le verso un po’ di vino frizzante, un bianco amabile che a lei piace e la invito a sorseggiarlo.
Dopodiché le allungo il mio pacchetto. Lei sorride mentre l’alcool comincia a fare effetto, accarezza la carta satinata e scioglie il nastro di raso color cioccolato. È un astuccio nero di cartone molto elegante quello che ora osserva, lo apre e lo richiude di scatto. Si guarda attorno un po’ allarmata, il rossore che le sale sul viso e non è solo a causa del vino.

“Ma… Cosa?”

Mi sussurra appena. Io alzo un sopracciglio, mi sto divertendo. Sapevo che avrebbe reagito così.
“Leggi il biglietto.”
Le suggerisco.

Lei apre la bustina in carta di riso ed estrae il cartoncino. Sta per leggere ad alta voce, ma si trattiene. Si guarda ancora attorno come se gli altri avventori del locale potessero leggerle la mente e capire quanto ho scritto.

“Non capisco…”

Adesso sto quasi ridendo, ma devo trattenermi. Sono sempre stato un uomo pratico, gestisco un’azienda di import-export e sono abituato a trattare con clienti di tutti i tipi. Per quanto ne sia innamorato tendo a trattare Rachele, così si chiama mia moglie, con lo stesso spirito pragmatico.
Sono stanco, e l’ho scritto chiaramente sul biglietto d’auguri. Sono stanco della nostra routine e da un po’ di tempo ho cominciato a guardarmi attorno. Segretarie carine, spedizioniere procaci. Sono rimasto fedele, ma voglio qualcosa di più nel nostro rapporto, qualcosa che non sono sicuro che Rachele sia pronta a darmi. Donna dolce, ma con scarsa immaginazione e, soprattutto, legata a una visione molto tradizionale del rapporto di coppia. Sì, sono piuttosto stufo.

“Leggi ancora, forse capirai”

Intanto le verso ancora un poco di vino che lei accetta immediatamente. Molto bene, un po’ di coraggio può arrivare anche con l’aiuto di qualche bollicina.

Al mio grande amore, un regalo che ti ordino immediatamente di indossare qui dove ci troviamo se vuoi che a questo quindicesimo anniversario ne segua un sedicesimo e ancora altri mille. Ti amo, Giorgio

Legge e rilegge quelle poche parole. Poi mi fissa quasi incredula. Infine riprende il cofanetto e lo apre facendo attenzione che nessuno riesca a scorgerne il contenuto. Data la lunghezza potrebbe essere una penna o un profumo. L’imbottitura protegge due piccoli oggetti: uno tondo e panciuto come un biscotto, l’altro affusolato e ricurvo su se stesso come una stecca di liquirizia, ma più larga e spessa e con un’estremità simile al pollice di una mano. Entrambi sono di un materiale piacevole al tatto, di colore nero e con rifiniture argentee.

È stata proprio l’estetica così fine, la dicotomia scura e metallica, a farmi scegliere quell’oggetto piuttosto che altri. Sono sempre stato attratto dalle cose belle oltre che funzionali. E poi… Poi solo il meglio per Rachele, ovviamente.

“Adesso vai in bagno, fai pure con calma.”

Le ordino senza troppe cerimonie. Sono impaziente di provare il regalo e spero di trovare in mia moglie nuove sorprese.

“… Ma Giorgio… Qui… Io…”

Giocherello con un boccone di pane insaporito con semi di sesamo. Sembro distratto, ma non lo sono. Rialzo lo sguardo.
“Sono stanco, Rachele. Ti amo e lo sai, ma mi annoio. Sei ancora così bella, ma terribilmente monotona. Non voglio tradirti, ma non mi spingere fra le braccia di altre, su, coraggio, vai.”
Le vedo la bella boccuccia tremare. Forse vorrebbe insultarmi oppure protestare. Piangere? No, non è il tipo e per cosa, poi? Non è che un gioco, ogni tanto bisogna pur giocare. Mi dispiace di essere stato così duro, ma devo pur scuoterla in qualche modo.

Scuote un poco la testa, poi infila l’astuccio nella borsetta e si alza.

“Se vuoi scusarmi…”

Si dirige verso la toilette delle signore e, ora che non può vedermi, mi concedo un sorriso di pura gioia come quello di un ragazzino a cui abbiano regalato il primo motorino. Sono al settimo cielo. Il cuore mi batte all’impazzata e l’aspettativa mi fa quasi ballare sulla sedia. Ho difficoltà a mantenere un certo contegno. Il locale, per quanto lussuoso, è molto frequentato e non voglio attirare l’attenzione.

Lei rientra dopo circa un quarto d’ora. Hanno appena servito il primo piatto: linguine al tartufo per entrambi. Un cibo saporito e stimolante. Mangiamo con calma mentre lei mi restituisce il cofanetto. Dentro c’è solo l’oggetto tondo e panciuto che è provvisto di piccoli pulsanti. L’altro è nascosto dentro di lei e questo pensiero mi procura una fitta quasi dolorosa di piacere.

Mi infilo furtivamente il telecomando, questo è quella specie di biscotto nero e argento, nella tasca dei pantaloni. Posso premerlo attraverso la stoffa, è semplice, avevo già fatto un test a casa per sicurezza. So per certo che lei non ha mai provato alcun tipo di vibratore, quindi quando le vedo sbarrare gli occhi e irrigidirsi trattengo a stento il sorriso.

Comincio piano. Appena un accenno. Lei finisce di deglutire il boccone, poi si ferma. Posa la forchetta, si pulisce le labbra e rimane per un istante con tovagliolo fra naso e bocca. Sta tentando di mascherare un singulto. Sta respirando un po’ più velocemente. Fermo il giocattolo.

Senza guardarmi negli occhi riprende a mangiare. Si vergogna e non può affrontarmi. È tutto così divertente. Le lascio gustare ancora qualche forchettata, poi riprendo senza preavviso e un poco più velocemente. Il ronzio è appena accennato, solo noi due possiamo sentirlo e, eventualmente, un cameriere se si avvicinasse. La scusa di un cellulare sarebbe perfetta. Rachele si guarda attorno e il rossore che le si dipinge sulle gote vale ogni spicciolo speso per quell’oggettino. Posso scorgere i capezzoli che premono sulla stoffa. Sono così duri che passano persino la resistenza del reggipetto: deliziosi.

Aumento ancora la velocità. Lei cerca di restare impassibile, ma mi accarezza una mano e sussurra.

“Ti prego, Giorgio, non qui, ti prego, è così… Umiliante.”

Quella frase stimola ancor di più la mia immaginazione. Potrebbe essere l’inizio di una fantastica nuova avventura fatta di tanti oggetti simpatici e di situazioni molto piccanti. Mi piacerebbe portarla a fare uno shopping particolare, farle scegliere il nostro prossimo balocco. Aumento ancora. Gli occhi di Rachele si fanno opachi e si aggrappa al tavolo. Vorrebbe evitare che gli altri commensali si girino vero di lei, ma la cosa si sta rivelando difficile, molto.

Comincio ad avere qualche problema anche io, avrei dovuto prevedere la mia stessa eccitazione, ma solo adesso che la sento tendersi fastidiosamente mi rendo conto di essermi spinto troppo oltre.

Spengo l’apparecchio, lei finisce quanto ha nel piatto e anche io faccio lo stesso. Ci guardiamo attorno, ma nessuno sembra essersi accorto di nulla. I camerieri sono indaffarati con una cena d’affari nell’altra saletta e poi quello che a noi sembra essere stata un’eternità non è stata altro che una manciata di minuti.

Portano via i piatti. Fortunatamente non abbiamo ordinato un secondo. Il dolce arriva quasi subito. Due golosi tortini col cuore di crema fusa accompagnati da un brachetto squisito. Brindiamo. Lei taglia il suo dolce e il ripieno comincia a fuoriuscire sul piattino.

“Così ti voglio, mia cara, calda e fluente come questo manicaretto. Per me devi essere sempre pronta, sempre bollente.”

Abbassa lo sguardo e, nonostante che il giocattolo sia fermo, il rossore le arriva sino alla cima delle orecchie. Caffè e conto. Sono troppo su di giri per restare oltre nel locale. Con uno sforzo sovrumano riesco a non far notare alcunché abbottonando la giacca prima di alzarmi.  Ringrazio il maitre, lascio una mancia adeguata, poi chiedo se sia possibile fare due passi nel loro suggestivo giardino. Certo, il piccolo parco attorno al locale è stato studiato apposta per godere delle belle serate di Luna.

Godere, il verbo giusto. Sorrido e salutiamo.

Siepi molto gradevoli con varie forme più o meno riconoscibili di animali o arbusti rampicanti circondano graziose panchine in ferro battuto e pietra. Mentre passeggiamo riaccendo il telecomando, senza la musica e le conversazioni di sottofondo posso sentire il ronzio sommesso. Rachele mi afferra per un braccio e stringe. Chiude gli occhi e trattiene il respiro. È così bella, come ho potuto solo pensare di tradirla? Le accarezzo i seni e la spingo dietro a un folto arbusto di alloro. Una Dafne tutta mia che non accenna a trasformarsi, ma, anzi, accoglie me, il suo Apollo, con un’urgenza di cui non la credevo capace. Appoggiata alla pianta incrocia le gambe attorno a me e si lascia possedere rapidamente, smaniosa di raggiungere quel piacere che le ho fatto gustare per tutta la sera. Raggiungiamo insieme l’apice e questo è il più bel regalo che lei potesse farmi. Nessun gioiello, nessuna cravatta di seta né penna di lusso potrà mai valere quanto la bellezza di godere insieme alla propria donna.

Restiamo abbracciati sino a che il nostro respiro torna regolare. Poi raggiungiamo la macchina e ci dirigiamo verso casa. Rachele mi stringe la mano che tengo appoggiata sul cambio. Sorride.  Ci saranno altri meravigliosi anniversari e, soprattutto, almeno trecento fantastici giorni fra un anniversario e l’altro.

“Giorgio…”
Sussurra.
“Sì?”
“Ti amo”
Non aggiunge altro, non ce n’è bisogno.