Questo racconto ci è stato mandato da una lettrice che vuole restare anonima. Ecco cosa ci ha raccontato sulla scelta del suo pseudonimo: ‘Justine è il nome della mia attrice porno preferita – anche l’unica che conosco in realtà, bella come la vita. Ed è anche il nome della protagonista del romanzo di De Sade Justine o le disgrazie della virtù. Bouvier è il cognome da nubile della grande Jacqueline Kennedy.’ Quindi, Signore e Signori, ecco a voi il primo racconto di Justine Bouvier. 😉

“Sto partendo adesso”. Il messaggio era sempre lo stesso.

Erano quasi le nove: c’era poco meno di un’ora per prepararsi e lei voleva che fosse tutto pronto. Erano passate troppe settimane dall’ultima volta e il desiderio era ormai oltre il limite di sopportazione. Un grumo di intoppi, di impegni, di quotidianità li aveva costretti a rimandare di continuo.

Lavorare insieme poi non aiutava certo a tenere a bada la voglia. Incontrarsi nei corridoi, in ascensore, nel bar sotto l’ufficio, li eccitava continuamente, senza sosta. Quando accadeva, lui modulava la voce abbassandola leggermente, come piaceva a lei quando erano a letto e le diceva tutte quelle cose… poi sorrideva in maniera impercettibile nella sua direzione, per farle intuire i suoi pensieri peccaminosi. Lei invece lo divorava con gli occhi: fissava le spalle larghe e robuste, le braccia forti, la barba leggermente accennata che gli incorniciava la bocca e il mento appuntito che amava mordicchiare. Fissava intensamente il suo petto e a quel punto lui la ammoniva con gli occhi, perché era pericoloso. Ma lei sorrideva maliziosamente e abbassava lo sguardo sul rigonfiamento che sapeva di avergli procurato. A volte, a pranzo con altri colleghi, lui con finta noncuranza infilava un braccio sotto al tavolo e le toccava la gamba e lei si accendeva subito di passione. Dovevano stare attenti, comunque. Anche se nessuno avrebbe mai pensato che due persone apparentemente così diverse in tutto, soprattutto per via della differenza di età, potessero essere allo stesso tempo così attratte l’una dall’altro. Lui poteva senza dubbio sembrare suo padre e lei si divertiva a prenderlo un po’ in giro per questo, ma benché avesse superato i trenta e si ritenesse ‘donna’, si sentiva proprio una bambina nel suo sguardo.

Ma finalmente quella notte era arrivata…

Non avrebbe mai pensato di avere dentro di sé tutto quel fuoco. Non prima di conoscere lui. Con lui era cambiata, cresciuta. Era diventata davvero donna, una donna profondamente passionale e soprattutto esigente. Lui lo sapeva. Aveva portato alla luce il suo lato più femminile ed erotico, facendo sbocciare quel desiderio sopito per troppo tempo. Sapeva come soddisfare le sue voglie, appena scoperte e così intense, e come farla dormire poi dolcemente fra le sue braccia.

Si riscosse dai pensieri all’improvviso, doveva prepararsi. Andò in bagno per fare una lunga doccia calda. La sua pelle bruciava dalla voglia della bocca di lui, della sua barba che pizzicava e la faceva eccitare ancora di più, in un modo che prima non credeva possibile. Ancora persa nel ricordo, mise un filo di matita sugli occhi, lo smalto argento che piaceva in particolar modo a lui, perché richiamava la ciocca di capelli bianchi che le ricadeva sul viso, ma niente rossetto. Le labbra dovevano rimanere sempre pulite, calde e morbide, per questo le inumidiva spesso con acqua calda e limone, che rendeva elastica la pelle sottile. Lui amava baciare le sue labbra, la lingua piccola. Ma soprattutto impazziva per quello che sapeva fare, con quella bocca…
E poi, le palline. Nere. Piccole. Pesanti.
Gliele aveva regalate lui poco tempo prima. Aspettavano, custodite nel sacchettino nero di raso, fredde e dure, in attesa di diventare calde e bagnate. Le chiedeva sempre di indossarle.
“Metti le palline”: un ordine impartito via messaggio a cui lei non poteva e non voleva sottrarsi. E l’idea di lei, eccitata e bagnata, lo faceva impazzire dal desiderio. Gli piaceva farla sedere sul divano, inginocchiarsi di fronte a lei, sfilarle lentamente le mutandine e restare a guardarla. Non la toccava con le dita, solo con lo sguardo. Lei vedeva il desiderio ardente allargargli le pupille, schiudergli le labbra. A quel punto lei iniziava a bagnarsi: era pronta.
Ventuno e trenta.


“Usa la chiave” rispose lei al messaggio. Di solito lui suonava il citofono e lei gli correva incontro per baciarlo e fargli sentire il suo corpo caldo lì, sulle scale. Ma questa volta aveva altro in serbo per lui. Aveva predisposto le candele sulle sponde del divano e tutto intorno, sul tappeto e sullo schienale, per creare una barriera tra sé e il resto della stanza. La lampada di sale dava la giusta luce calda all’ambiente.  La sottoveste trasparente con le rifiniture nere di raso, le avvolgeva il corpo nudo, lasciando intravedere le sue forme morbide e i capezzoli già duri. Non indossava mutandine, a lui non piacevano. Però aveva deciso di mettere le scarpe nere col tacco alto. Le davano quel senso in più di potere e sicurezza che davanti a lui, così alto e grosso, svanivano subito, ma era proprio questo il punto: farle tenere per poco le redini, per poi essere sovrastata dal corpo di lui.

Ventuno e quarantacinque.

Prese il sacchetto e andò in camera da letto. Si adagiò sui cuscini e allargò le gambe. Sciolse il laccio del sacchetto, allargò l’apertura con entrambe le mani, come avrebbe fatto con se stessa. Afferrò con due dita – le stesse che metteva dentro la sua fessura – le palline e le tirò fuori, lentamente. Le tenne un po’ nella mano. Pensò a quando le metteva dentro. Era così strano, soprattutto all’inizio, sentire quelle due sfere che si muovevano ad ogni passo, mentre era in ufficio, per strada, sui mezzi. Doveva contrarre i muscoli per evitare che scivolassero via, e questo la costringeva ad un continuo movimento interno che, scoprì presto, la faceva eccitare. Quando le metteva, era sempre pronta.


Avvicinò le palline alle labbra. Con la punta della lingua sondò quella rotondità invitante. Fece scivolare la prima pallina in bocca, poi la seconda. Con la saliva inumidiva le palline e le muoveva aiutandosi con la lingua in giri infiniti. Poi le tirò fuori, e le fece oscillare sulle sue labbra dischiuse, baciandole. Abbassò l’altra mano e la fece scorrere sul suo corpo, sul seno piccolo e sodo dal capezzolo turgido. Col le dita si accarezzò prima il pube, poi col pollice massaggiò il clitoride, già duro, e le due dita si fecero strada dentro di sé. Era già bagnata, ma ora sapeva di potersi bagnare di più, non incontrò nessuna difficoltà nel far entrare prima l’una e poi l’altra, fino in fondo, riempiendola tutta.

Finalmente piena e quella notte…

Chiuse le gambe, godendo di quella sensazione infinita di pienezza appagante. Si alzò e le palline si mossero, riposizionandosi dentro di lei. Subito contrasse le pareti interne per trattenerle e sentì la familiare scossa di piacere che partiva da dentro e culminava nel clitoride.
Ventuno e cinquantacinque. L’ora stava per terminare.
Si diresse in sala, sistemandosi sul divano. Prese il bicchiere di vino dal tavolino e bevve un lungo sorso, un calore scuro e intenso si propagò nelle vene. La tensione cresceva, man mano che il tempo passava e si avvicinava il momento in cui lui sarebbe entrato e si sarebbe trovato di fronte a qualcosa che non si aspettava.

Poi i passi sulle scale.

Una chiave nella serratura.

La porta che si apre, piano.

Eccolo.

Quella notte, finalmente…