A luci rosse (Roxanne) – Racconto erotico

La storia che segue è ambientata nel quartiere a luci rosse di Amsterdam, famoso per le sue ‘ragazze in vetrina’. 

Never forget, we don’t like you for free.’

I passi dell’uomo risuonano sul selciato umido. È come se la nebbia che avvolge la notte inglobasse i rumori per restituirli prolungati.

La strada, che in genere brulica di gente di ogni tipo, è quasi deserta forse per via del freddo maligno che si insinua in ogni fessura indifesa.
L’uomo si cala il cappello in testa con gesti impediti dai guanti spessi, il cappello gli finisce sugli occhi e deve sollevarlo di nuovo. Il freddo gli morde la pelle del polso che si espone per un attimo e lui infila entrambe le mani dentro le ampie tasche del giubbotto. Con tanto di guanti e tutto.

L’acqua del canale riflette a tratti la luce rossa delle vetrine e appare buia e morta nello spazio che le separa. Molte vetrine sono chiuse, forse perché è tardi, forse perché c’è poca gente in giro, forse perché le loro occupanti sono impegnate.

Ma non la sua vetrina. Lo sa perché sono ore che la osserva.
Ha passato la prima parte della serata in un pub dal quale poteva vederne la luce proiettarsi all’esterno. Poi, quando il pub ha chiuso, ha ingannato il tempo passeggiando qua e là, ma sempre tenendola d’occhio.


Era la terza sera che tornava in quella strada, che veniva lì per lei, ma non aveva mai trovato il coraggio di avvicinarsi. Si faceva mille problemi, si inventava mille scuse.

La verità era che la situazione gli era sfuggita di mano: e se poi lei aveva una brutta voce? Peggio, se era volgare? Se gli diceva qualcosa che lo avrebbe smontato?

Ma stasera ha due fattori dalla sua parte: le ore passate al pub non sono passate invano e ha sufficiente alcol in corpo per avere più coraggio del solito.
Ed è l’ultima sera. Adesso o mai più, domani si riparte.

Si avvicina verso la luce che la nebbia assorbe e diffonde come fa con i suoni, mentre il cuore accelera i battiti dentro il petto. Fa quasi male e il respiro si fa più corto. Si ferma un attimo a riprendere fiato.
Si avvicina alla vetrina e scorge la punta di un piede che lei fa dondolare pigramente. Immagina che sia tornata a sedersi su una specie di trespolo, come le ha visto fare di tanto in tanto nel corso della serata.
Stringe i pugni nelle tasche, ma i guanti spessi trasformano quello che voleva essere un gesto di risoluzione in un’ulteriore manifestazione di pusillanimità ed è proprio questo a dargli la spinta finale.

Si porta davanti alla vetrina e lei, che aveva lo sguardo abbassato, lo alza su di lui immediatamente.
Che era bellissima lo sapeva già. Ma non si erano ancora guardati e il cuore gli si arresta un istante. Lei non sorride, lo guarda con quei suoi occhi chiari, poi si alza in piedi e si avvicina alla porta.
Indossa un top aderente a mezze maniche che le copre solo la parte superiore dei seni nudi e un minuscolo paio di slip che, per qualche motivo, su di lei minuscoli non sembrano. Forse perché anche lei è minuta, ha il corpo snello, seni piccoli e un’incredibile chioma di capelli rossi.  Se il top la coprisse di più potrebbe essere una modella pronta per un servizio fotografico.

Certo, dovrebbe indossare un altro paio di scarpe, non quei sandali in plexiglass trasparente con il plateau smisurato e, come se non bastasse, il tacco intarsiato di swarovski.  Come ogni volta che si trova davanti una donna con tacchi particolarmente alti, si sorprende a domandarsi quale sarebbe effettivamente la sua statura senza quei trampoli.

Indubbiamente, nel gelo della sera, il fatto che lei sia in bikini aggiunge incongruenza a incongruenza ma, del resto, viviamo in un mondo assurdo, pensa lui. In un mondo giusto, gli uomini dovrebbero sfidarsi a duello solo per avere la possibilità di parlarle.

Lei apre la porta leggermente e tanto basta per far rabbrividire la sua pelle diafana. È sollevato nel sentire che la sua voce è gradevole, e nel capire subito che i suoi modi non sono volgari.
Certo gli domanda cosa vuole, e certo, lui risponde che vuole fare sesso e certo lei gli domanda se vuole anche un lavoro di bocca e certo lui risponde no (mentre il suo sguardo cade ipnotizzato sulle sue labbra che non sono né carnose, né sottili, ma sono l’unico paio di labbra che potrebbero stare con il suo naso e i suoi zigomi alti e i suoi occhi chiari e quella sua aria così esotica e familiare allo stesso tempo).
Ma, con suo grande sollievo, la trattativa è presto finita e lei si ritira per farlo entrare chiudendo in fretta la porta dietro di lui, senza riuscire a impedire a una folata di aria gelida di penetrare nella stanza.
Poi tira la tenda della vetrina e si avvia lungo un corridoio stretto che finisce presto in una stanza senza finestre, quasi interamente occupata da un letto. La stanza è immersa in una luce fluorescente, di quelle che fanno risaltare tutto il bianco che hai addosso e lei sembra scomparire in quell’atmosfera, assorbita dall’ambiente.

Lui si guarda il giubbotto dove miriadi di granelli di polvere hanno cominciato a brillare, prova a spazzolarsi una manica ed è allora che lei lo tocca per la prima volta. Gli prende una mano grande, enorme dentro il guanto imbottito, e tira lentamente la punta delle dita. Il guanto resiste e lei si accorge che è fissato al polso con una chiusura a strappo. Allora chiude le dita attorno alla striscia e piano piano inizia a staccare la parte superiore del velcro, la stanza è invasa dal piccolo crepitio del tessuto. Poi tira il guanto e gli libera la mano.

Lui trattiene il fiato e alza lo sguardo su  di lei: i suoi occhi, resi scuri dalla luce della stanza, sono diventati un pozzo senza fondo.

Lui alza l’altro braccio e lei ripete il gesto, con la stessa lentezza. Poi gli toglie il cappello e allunga le mani verso il bavero del giubbotto, fa scorrere la cerniera verso il basso e, quando la cerniera è tutta aperta, si avvicina e glielo fa scivolare dalle spalle. Lui sente un profumo lieve, di pulito, di sapone.


Ma quando lei appoggia il suo giubbotto sulla sedia non può reprimere il disgusto all’idea di avere le sue cose dove altre persone sono state prima di lui. Lei sembra accorgersene, gli prende una mano e la guida verso quella piccola mezzaluna alla base del collo.
Lui rimane un istante fermo, deglutisce mentre sente la mano di lei appoggiarsi sul suo sesso, sopra i pantaloni. Percorre il profilo della sua clavicola con un dito leggero, disegna arabeschi sulla sua pelle nuda avvicinandosi sempre di più al bordo del suo top, lei se lo sfila prima che abbia il tempo di fermarla e lui non riesce a trattenere un ‘No!’ di disappunto che le fa allargare gli occhi. Avrebbe voluto farlo lui.

Adesso che è praticamente nuda davanti a lui, può vedere un grosso tatuaggio sulla sua spalla.

Lei si sta dando da fare, gli ha slacciato la cerniera e ha infilato una mano nella fessura dei suoi boxer e lui si sente crescere tra le sue dita anche se quasi non vorrebbe.
Quando giudica che sia a buon punto, lei si porta le mani sui fianchi e si sfila gli slip, senza civetteria, come se si preparasse per andare a dormire. La sua nudità non lo eccita e, nonostante il suo membro sia più che pronto all’uso, nemmeno la vista di lei che si mette a quattro zampe sul letto, offrendogli una visuale di tutta se stessa che non lascia spazio all’immaginazione.

Lui ripete un’altra volta ‘No’ e si siede sulla sedia.

Non toccherebbe quel letto per niente al mondo, qui sulla sedia, con il giubbotto aperto sotto di lui, si sente più al sicuro.

Lei si gira verso di lui, all’inizio senza capire, poi si rimette in piedi e lo raggiunge. Si abbassa e per un attimo lui pensa che adesso lo prenderà in bocca, ma invece strappa la confezione di un preservativo che aveva in mano e glielo mette. Si risolleva e gli stringe il collo tra le braccia, poi si lascia scivolare contro il suo petto, verso la sua erezione.

Quando i loro corpi si incontrano non è bello, perché lui è super eccitato, anche se la sua mente non riesce a smettere di pensare, e lei non è affatto pronta.

Poi lei inizia a muoversi lentamente sulla punta del suo membro e piano piano lui si sente entrare in uno spazio che lo riempie di piacere. Non dicono nulla, il silenzio è rotto solo dal ronzio della lampada e dai suoni strozzati che sfuggono a entrambi ogni tanto. Lui non la tocca, non si muove, lascia fare a lei che sicuramente ne sa di più.
E anche se prova un indubbio piacere, un piacere che lo sospinge a una velocità vertiginosa verso il culmine, la cosa che lo stupisce è come la sua mente riesca a rimanere distaccata da quello che sta succedendo. È molto diverso da quando si tocca da solo, quando deve scatenare la fantasia e immaginare le cose più strane, a volte persino annusarle e può andare avanti per un sacco di tempo. Qui è come se lui fosse fuori dal suo corpo e quanto più la sua carne è coinvolta e reattiva ai movimenti di lei, tanto più la sua mente rimane fredda, lucida.

Lei scende un altro paio di volte su di lui e improvvisamente si ferma e lui sente l’orgasmo partire esattamente in quel momento. È un piacere molto più intenso di quello che prova quando è da solo, ma ancora una volta la sua mente è da un’altra parte, a domandarsi cosa succederà adesso. A chiedersi se vuole restare ancora con lei o se se ne vuole andare il prima possibile.
Lei aspetta la fine dei suoi sussulti di piacere, poi si solleva in piedi, facendolo uscire con delicatezza. Gli porge un fazzoletto e lui capisce che è per aiutarlo a togliersi il preservativo.

Quando risolleva lo sguardo, è di nuovo vestita con il bikini e il top che le copre bene il tatuaggio e a malapena i seni. Lui si ricompone in fretta, domandandosi come abbia fatto a fare prima lei. Rimane un attimo interdetto, perché davvero non sa cosa fare, forse vuole restare ancora un po’ con lei e i soldi per farlo non gli mancano ed è proprio allora che lei allunga una mano in un gesto inequivocabile: gli sta chiedendo la cifra pattuita.
E per qualche strano motivo, rimane intoccabile anche in quel gesto.

Lei appoggia la banconota che lui le porge sulla sedia, poi si incammina nel breve corridoio. La segue infilandosi il giubbotto, il cappello, i guanti, preparandosi ad affrontare il freddo.
Esita un attimo prima di uscire, quando lei ha già aperto la tenda della sua vetrina sulla strada deserta. Si volta verso di lei, ‘Grazie’ le dice. Lei non sorride.

‘Quando vuoi, io sono qui.’ Risponde.

Esce nel gelo della sera, nell’umidità avvolgente. Si dirige verso l’acqua nera del canale, si appoggia al parapetto e si gira a guardare lei che torna a inerpicarsi sulla sedia, ad accavallare le gambe, a dondolare il sandalo scintillante sotto la luce rossa.

Fa un freddo cane, ma è già tardi. Non resterà in vetrina ancora a lungo. Le farà compagnia nel frattempo.