Reach out and touch faith
Your own Personal Jesus
Someone to hear your prayers
Someone who cares
Your own Personal Jesus
Someone to hear your prayers
Someone who’s there
Un giorno tra tanti, la solita fretta milanese e un appuntamento importante in agenda da mesi. La testa ciondola ritmata dal movimento delle spalle che col ricordo tentano di imitare le movenze sensuali di Dave Gahan sul palco di San Siro. Le cuffiette sono l’unico modo per estraniarmi dal brusio assordante del traffico mattutino, i Depeche gli unici a darmi più carica di un caffè espresso.
D’improvviso urto distrattamente un corpo morto. Gli auricolari scivolano fuori dai timpani. Dentro la mia testa è un susseguirsi silente dei peggiori improperi, ma con gentilezza e cortesia faccio per voltarmi verso quell’ingombrante passante per chieder scusa, anche se dovrebbe saperlo che è pericoloso fermarsi stile Stonhenge nella città che non si ferma mai. Anche lui si gira accigliato per riscuotere la mia venia.
Accade tutto troppo velocemente. Nel momento stesso in cui mi rigiro per tornare ai fatti miei penso “Lo conosco!”. Una voce calda e autoritaria mi intima di fermarmi chiamandomi per nome. Figuriamoci! Continuo decisa il mio percorso, ma all’improvviso una mano ferma e decisa blocca il mio avambraccio obbligandomi a roteare su me stessa. Il mio aggressore è l’uomo contro cui sono andata a sbattere! Tento di liberarmi sfidandolo con lo sguardo, ma è una morsa.
“Bimba, perché fuggi?”
A quelle parole, la resa. Lo guardo, non ho dubbi è lui. Senza proferire verbo la mia testa bionda si accascia stanca sulla spalla di lui, che ormai mi tiene teneramente stretta in un lungo abbraccio.
Erano anni che nessuno mi chiamava più così, erano anni che “Amalia” non era più una bimba. Ricordo nitidamente come a quindici anni detestassi quel nomignolo, io che al tempo mi sentivo una donna e avevo un’evidente cotta per quel giovane uomo dai modi fascinosi e dagli occhi profondi che era entrato nella mia vita dal nulla e nel nulla era sparito.
Ricordo che al tempo la sua fama lo precedeva, ma non era questo a renderlo speciale ai miei occhi.
Lo avevo scoperto un giorno in cui le lacrime mi rigavano il volto per uno stupido ragazzino che mi aveva spezzato il cuore, e lui con dedizione mi disse “non ti curare di lui, arriverà un tempo in cui un uomo saprà riconoscere la tua unicità, ti amerà sopra ogni cosa”. Non aveva detto nulla di speciale, ma mi ero sentita una principessa.
Lui che di donne ne aveva la fila, aveva cancellato i suoi impegni per passare la giornata con me. Sotto il portone di casa, la sua mano aveva preso il mio mento sollevando il mio viso verso il suo. Avevo chiuso gli occhi in attesa di un bacio. Che arrivò, tenero, sulla fronte. Non lo vidi più, fino ad ora.
Anche lui mi aveva spezzato il cuore.
La lingua più veloce della mente: “Devo scappare, stasera ore 9 a casa mia. Non puoi dirmi di no. Ti aspetto”. In un lampo scrivo su un foglietto stropicciato indirizzo e numero di telefono.
Sono quindici anni che aspetto questo momento, l’incertezza del domani non mi tange, ma il pensiero di lui non riesce ad abbandonare la mia testa per tutta la giornata.
Aspetto senza fortuna un suo sms di conferma che non arriva, ma non demordo e confido nella sua voglia di rivedermi.
Alle 20.59 il dito di Karl preme sul campanello e con voce pimpante gli dico di salire. Il mio appartamento è all’ultimo piano di un palazzo fantasma dal gusto post industriale. Nessun vicino, nessuna rottura. Il profumo invadente del Romeo y Julieta precede il suo arrivo, che mi sorprende mentre mi muovo disinibita tra i fuochi della grande cucina canticchiando “We can be heroes just for one day”, sparata a palla dalle casse Bose. Un morbido abito in cachemire nero accarezza le mie forme ormai adulte.
Ho scelto di non indossare la biancheria sperando che lui se ne accorga a sottolineare che non sono più una bambina.
“Eccoti” esclamo mentre gli do il benvenuto con un grosso sorriso e un calice di Amarone. “Mettiti comodo qui al bancone, che appena è pronto andiamo in sala”. Per farmi coraggio ingoio una grande sorsata di nettare rosso. Non sono mai stata una pantera, ma non posso lasciarmi scappare questa opportunità. Non voglio sapere se ci sia qualcuno nella sua vita. Non ora. Finisco di impiattare. “Seguimi! E mentre mi guardi le gambe porta di là anche la bottiglia, che non sono ancora la Dea Kali”.
Senza controbattere mi segue in silenzio fino al tavolino a terra su cui servo la cena. Tolgo gli altissimi tacchi neri per rimanere a piedi nudi. La luce è solo quella delle grandi candele che delineano i confini della stanza. Lo osservo con attenzione, soffermandomi sul polso carico di braccialetti. Lo trovo sexy. L’ho sempre trovato attraente.
Immagino le sue mani ancorate ai miei fianchi. Noto con delizia che il suo sguardo si sta perdendo nella mia scollatura. La mia attrazione verso di lui è palese. Ma lui? Gioca o mi immagina nuda nel letto?
La conversazione è da subito accesa, i ricordi, le sue tante storie che mi lasciano a bocca aperta, i sogni per il futuro. Di tanto in tanto mi accarezza il viso e un brivido mi attraversa veloce sino ad arrivare alle cosce.
Tra i mille discorsi l’ora si fa tarda, ma ancora nessun cenno di cedimento. Basta mi butto. Prima che possa dirmi di no gli ho già messo in mano asciugamano, t-shirt dei Metallica e pantalone da ginnastica con la scusa che il mio grande divano in pelle bianca è la soluzione ideale per chi come noi ha bevuto un bicchiere di troppo. Beata prudenza…
“Notte Karl, per qualsiasi cosa chiama…”.
Spero che l’immagine di me in sottoveste di seta color cipria possa aiutare la sua insonnia, considerato che mi ha mandato a letto con un altro bacio sulla fronte e un tragico “Notte bimba”.
Il sonno non si cura di me ancora inebriata dal vino e dal profumo intenso della sua pelle. Ripercorro con la mente i tratti del suo viso, ogni ruga racconta una storia, un’emozione, una voglia. Chissà quante donne ha abbracciato, quante ne ha possedute, quante ne ha lasciate dopo una notte di amore.
Per ora io rimango sveglia e insoddisfatta.
Allo scoccare delle 4 percorro il corridoio in punta di piedi e quatta quatta arrivo alla sala dove lui sta dormendo profondamente. Noto che la pelle liscia delle braccia è ornata da tatuaggi colorati. Ognuno ha una storia che vorrei conoscere, che vorrei mi raccontasse. Non resisto e scivolo veloce sotto le lenzuola. Karl sobbalza e mi guarda sbalordito. Blocco le sue rimostranze sul nascere appoggiando dolcemente il mio indice sui suoi baffi d’argento.
Mi fa addormentare tra le sue braccia, avendo capito prima di me che ciò di cui ho bisogno non è la storia di una notte.
La mattina si fa largo tra le veneziane, apro gli occhi faticosamente cercando con la mano il suo corpo, ma mi rendo conto che Karl è già in piedi da un po’ a guardare la mia faccia stropicciata che si perde nel cuscino. Un mio timido saluto fa capolino dal piumone con la richiesta di caffè nero bollente. Non ho il coraggio di incrociare i suoi occhi. Cosa mi è passato per la testa? Da quando sono diventata un tigre cacciatrice? Vorrei sprofondare. Candido interrompe le mie paranoie “Tranquilla piccola, non è successo nulla, solo tu e io abbracciati tutta notte”.
Il viso mi si distende e i muscoli del corpo sono meno contratti. Mi sorride e io mi sciolgo:
no non ho cambiato idea, lo voglio.
So che oggi non ha impegni e quindi gli dico che non può lasciarmi tutta sola di sabato. Accoglie la mia richiesta e così lo abbandono fugace con in mano la tazza di caffè fumante, mentre veloce come un felino mi infilo nella grande doccia del mio appartamento che affaccia diretta sulla sala. So benissimo che i vetri offuscati lasceranno intravedere la mia silhouette, con la speranza che lui si metta a guardare immaginando l’acqua scorrere sulla sua pelle.
Il getto caldo dell’acqua si fa largo tra i seni duri, per andare ad accarezzare il ventre, scivola goloso tra le cosce per poi morire sulle caviglie sottili. Mi solletico con il getto d’acqua e faccio entrare due dita dentro di me, pensando a lui che si tocca mentre mi guarda. Spero che mi stia osservando per vedere cosa faccio per lui. Soffoco un gemito in gola. Voglio che il primo che sentirà uscire dalla mia bocca sia per il suo sesso.
Avvolta nel profumo di fiori provenienti da posti lontani, mi presento coperta da un piccolo telo di lino bianco mentre con la mano districo distratta i capelli. Non fa un plissé, è l’uomo di ghiaccio. Eppure sono convinta che abbia il fuoco nelle vene. Vorrei avvicinarmi e far cadere il telo, prendere le sue mani e metterle sul mio corpo bagnato, invece mi infilo un grande maglione di cachemire evitando anche questa volta la biancheria. Se ne accorgerà? Faccio le fusa come un gatto, lo sfioro, sfodero due occhioni irresistibili, ma nulla, non dà cenno di cedimento. Probabilmente vede in me solo una stupida ragazzina cresciuta. Ci siamo svegliati tardi e la notte è arrivata prima del previsto (con mia somma gioia).
Adesso o mai più.
“Dormi con me” gli sussurro nell’orecchio, prendendogli la mano e portandolo verso il mio letto.
Ed ora che faccio? Ho fatto il passo più lungo della gamba, nonostante siano piuttosto lunghe. Ed è ora, nel mio silenzio, che il guerriero sferra la sua mossa “Ti desidero… ora!” dice mentre fa suo il mio lobo. Si mette sopra di me, un bacio sulla guancia destra, poi la sinistra e finalmente assaggio le sue labbra in un lungo bacio, fatto di lingue che si intrecciano e sussulti. Le mani nerborute iniziano la loro esplorazione, le dita si infilano tra le spalline della sottoveste per farla cadere morbida dalle spalle, dove i seni non nascondono la voglia di lui, un richiamo forte per Karl che ora è una furia. Succhia, morde e stringe tra le mani tutto ciò che può afferrare. Ho la schiena inarcata in segno di offerta e lui, sempre più incalzante, giunge alla fine della seta dove scopre, con suo stupore, l’assenza degli slip e in un momento il négligé è a terra. La sua bocca ricomincia la folle corsa. Sono persa nel suo ardore e nella sua lingua, che dopo essersi smarrita nella pelle completamente nuda del pube, inizia a roteare sapientemente sul clitoride eccitato.
Il piacere è proporzionale alla forza con cui conficco le lunghe unghie rosse nella schiena china del mio amante.
I gemiti ritmano il movimento sussultorio dei fianchi e finalmente con un filo di voce esclamo: “Fammi tua” mentre allungo la mano per prendere in mano il suo sesso duro e avvicinarlo a me. Mi fa ancora attendere divertito, continuando a giocare con le sue dita in me “Voglio il tuo piacere,” dico decisa “e ti voglio in me. Adesso!”. Mi cinge i fianchi con forza, proprio come avevo immaginato, e delicato mi penetra. La pelle nuda del suo pene struscia calda in me ormai troppo bagnata e vogliosa.
I colpi decisi e virtuosi mi fanno perdere la lucidità e penso solo a godermi quest’uomo che mi sa possedere con maschia virilità. Non voglio che il gioco finisca subito, così balzo su di lui e comincio a cavalcarlo con impeto, fino a finirmi. È stufo di giocare, vuole godere, così mi mette sotto di lui per prendermi da dietro. La sua mano afferra i miei capelli fino a esplodere il suo piacere sulla mia schiena bianca.
Me lo offre con le dita.
Assaggio devota, non ancora sazia di lui, ora che non sono più una bimba.
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