È la terza coppa di champagne che bevo e sta iniziando a darmi alla testa.  La stanza è calda, le luci sono soffuse, camerieri in livrea passano tra gli ospiti offrendo tartine minuscole: per placare la fame che mi rode il fondo dello stomaco ne dovrei mangiare almeno una ventina.

Cerco Vickie con gli occhi: la vedo poco più in là, in mezzo a un gruppo di uomini, arguta e vivace come sempre, la perfetta padrona di casa. Appoggio una mano sul braccio di mio marito in cerca di un sostegno. Mi sorride distratto, il nostro interlocutore è un uomo importante nel suo settore e queste serate, si sa, sono più lavoro che piacere.

Mi congedo con un filo di voce, nessuno mi presta particolare attenzione e nessuno sentirà la mia mancanza. Infilo il corridoio della casa che conosco bene, la mia mano esita sulla maniglia della porta del bagno; di fronte, lo so, si apre la camera matrimoniale di Vickie e Giacomo.

Entro, sono già stata in quella camera ma è sicuramente una delle stanze che mi è meno familiare di tutta la casa. Una piccola lampada accesa su uno dei comodini spande una luce morbida che lascia in penombra buona parte dell’ambiente. Il letto è grande, sontuoso, scuro. Mi avvicino a sfiorare con una mano le lenzuola di seta, prendo un cuscino e me lo porto al viso, è impregnato del profumo di Vickie. Sul comodino scorgo il libro di cui mi ha parlato e un bicchiere pieno d’acqua a metà. Lo sollevo e lo scruto alla luce diafana della lampada, cerco la traccia delle sue labbra e, quando credo di averla trovata, ci incollo le mie e trangugio un sorso di acqua fresca.

Scendo dai miei tacchi e mi siedo sul letto. Esito un istante prima di allungarmi sulle lenzuola morbide, rotolarmi tra i cuscini. Mi protendo verso il comodino di Giacomo: un paio di occhiali da vista sono ripiegati sopra un quotidiano. Apro il cassetto in cerca di un segreto salace, trovo una confezione di preservativi. Allora mi rotolo di nuovo sul talamo spazioso e apro il cassetto di Vickie, ci sono un po’ di medicine, un pacchetto di fazzoletti e una bustina di raso nero. La tocco indovinando già il suo contenuto, e ne estraggo un vibratore fucsia. Un largo sorriso si spande sulla mia faccia.

Lo accendo. La vibrazione energica mi fa sobbalzare. Lo annuso. Non sa di niente in particolare, né di Vickie, né di plastica. La mia mente vola a immaginarla sdraiata, con quell’oggetto pulsante tra le gambe e in un attimo la decisione è presa. Mi stendo di nuovo sul letto, sul cuscino profumato, mi sollevo a fatica la gonna stretta che indosso, mi sfilo la lingerie di seta. Pensare a Vickie mi ha eccitato, come sempre accade. Il vibratore si fa strada nella mia carne, un poco a fatica, ma in un modo non del tutto spiacevole. Mi riverso all’indietro e inizio a immaginare le espressioni di piacere della mia amica mentre lo usa.

Un rumore improvviso, secco, la porta si apre e si richiude subito. Mi alzo a sedere di scatto e sento il sangue abbandonarmi il viso e  il cuore sprofondarmi al posto dello stomaco. Vickie mi fissa impietrita davanti alla porta di camera. La mia mente è vuota, ma quell’emozione improvvisa mi ha fatto ricordare quanto sia affamata. Nel silenzio della stanza si ode solo il ronzio dell’oggetto che ancora si muove dentro di me.

Vickie si avvicina al letto. Non so cosa mi aspetto che dica o faccia, se si indignerà, se mi farà una scenata o magari scoppierà a ridere. Ma lei non fa niente di tutto ciò, continua a guardarmi mentre io mi sento trasformare in una figura grottesca e patetica di amante incompresa, seminuda sul suo letto mentre uso uno dei suoi oggetti più privati.

Poi la vedo allungare una mano e scostarmi una ciocca di capelli che infila dietro il mio orecchio. La sua mano rimane là, a sostenermi il viso mentre il suo si avvicina lentissimamente al mio. I miei occhi si incrociano nel tentativo di guardarla, finché non posso far altro che chiuderli e accogliere le sue labbra sulle mie.

Non so quanto duri questo bacio che aspetto da tutta la vita, da quando ragazzine giocavamo a pallavolo insieme e, per una scommessa persa, ci eravamo baciate davanti a tutti. Mai più avevo dimenticato l’emozione di quel bacio, che per me era il primo. E tale era rimasto, in un certo senso. Quelli che ho dato dopo, agli uomini che l’hanno seguita, non hanno mai avuto lo stesso sapore. Erano venuti gli amanti e poi i fidanzati e poi i mariti, il mio e i due suoi. Ma il sapore di quel bacio era rimasto ineguagliato per me, e stasera finalmente l’avevo ritrovato. Come un suono dell’infanzia o l’odore delle stagioni che tornano.

Vickie mi spinge sul letto con il peso dolce del suo corpo, le sue labbra scivolano sulla mia guancia, raggiungono la curva della mandibola e l’inizio del collo. Rabbrividisco sotto il suo tocco, mentre le sue dita gelide mi sbottonano la camicia, si infilano nel reggiseno e si stringono attorno ai capezzoli. Fameliche. Mi stringono di più e mi provocano gemiti di piacere misto a dolore. La sua bocca mi percorre il collo e il disegno della clavicola e ben presto le sue dita sono sostituite dai suoi denti. Un gemito più forte mi sfugge dalle labbra e Vickie torna a zittirmi con un bacio. Sento la sua passione uscire dagli argini, le sue dita diventano febbrili, impazienti, mentre mi sbottonano ancora e mi abbassano la camicia senza togliermela del tutto, non c’è tempo, non c’è pazienza.

Mentre la sua bocca mi percorre il corpo, con una mano afferra il manico del vibratore di cui mi ero completamente dimenticata e cambia intensità. La nuova scarica di vibrazioni mi lascia senza fiato. La testa inizia a girarmi e perdo completamente il senso del tempo e dello spazio. Potrei essere una creatura senza braccia e senza gambe, ho coscienza solo di quelle parti del corpo che Vickie mi bacia, e del mio sesso che pulsa insieme all’oggetto. Quando raggiunge  il mio clitoride emetto un gemito così forte che per un attimo ci interrompiamo tutte e due. Emergo dalla mia bolla di piacere e mi sollevo sui gomiti, ci fissiamo negli occhi: i suoi sono accesi, le sue labbra brillano nella penombra, bagnate di saliva, i suoi capelli sono arruffati (sono stata io?). Passano pochi istanti in cui fingiamo di restare in ascolto, ma in realtà ci riempiamo ognuna dell’immagine dell’altra. Poi Vickie torna a chinare la testa su di me e io ad abbandonarmi sul cuscino.

Le sue labbra sembrano conoscermi meglio delle mie dita, la sua mano sembra sapere meglio di me quale combinazione di vibrazioni mi procurerà più piacere, torno a perdermi in una marea di sensazioni fin quando tutto il mio essere è travolto da un piacere di un’intensità tale che quasi mi spaventa. Non mi accorgo che il vibratore non è più dentro di me, non mi accorgo che Vickie non è più sopra di me, ma accanto. Mi accarezza i capelli con le dita, mi accarezza il viso con lo sguardo.

Si allunga verso di me e penso già che mi regalerà un altro bacio indimenticabile, ma invece si piega sul mio orecchio e mi sussurra:

‘Ficcanaso.’