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Quello che avrei voluto descrivere era la scena d’amore fra una giovane ragazza dai capelli scompigliati ed un uomo qualche anno più grandi di lei, con i capelli anche lui scompigliati e la barba incolta. Lei era appena venticinquenne, imbottigliata nel cliché della studentessa di lettere perennemente innamorata del poeta senza partita IVA, del generatore di avverbi senza tregua che “facciamo a metà stasera, no amore?”. Lui d’altra parte aveva da poco compiuto trentanni, vedeva nel pagare le bollette in tempo, o nel cambiare le lenzuola una volta alla settimana, i segni di quella maturità latente che cercava di venir fuori; era un processo che iniziava a spaventarlo, ma la maggior parte del tempo non gli dava importanza, e quando si ricordava, dimenticava l’acqua della pasta sul fuoco per ore, così, per essere sicuro di non avergliela data vinta totalmente.
Avrei voluto scrivere di lei che incrociava continuamente le gambe, un po’ perché dopo la prima bottiglia di vino si reggeva malamente sullo sgabello troppo alto, e un po’ perché era già inaspettatamente eccitata dopo un quarto d’ora di conversazione.
‘Io fra un’oretta dovrei staccare, se vuoi ci fumiamo una sigaretta fuori.’
Avrei voluto scrivere che dicesse lui, magari avvicinandosi al viso di lei, rosso e caldo. E lei che, per entrambi i motivi sopra riportati, avrebbe immaginato di leccargli il naso.
Probabilmente poi avrei scritto di lei che sarebbe andata al bagno, avrebbe dato una controllata alla ceretta e poi sarebbe uscita, per poi rientrare per mettersi il rossetto. Si sarebbe ripetuta di non essere poi così tanto ubriaca, fortunatamente, ma poi avrebbe titubato per qualche secondo pensando alla possibilità di aver portato i collant sopra il vestito per errore. No, non era così tanto ubriaca, fortunatamente.
Lui l’avrebbe aspettava fuori, stanco, e leggermente brillo, come tutti i baristi sono soliti essere durante la settimana, quando lavori poco.
‘Ti va di venire da me?’ Avrebbe chiesto lei.
Prima che lui potesse rispondere e buttar fuori la boccata di fumo secco e amaro che fumava dai giorni in cui faceva sega a scuola, lei l’avrebbe baciato. Avrei scritto probabilmente di lui che tossiva, e cercava di riprendere fiato, e poi sempre per quella leggera ubriachezza sopra citata, l’avrebbe ribaciata con la glottide depurata. Si sarebbero baciati senza ritegno, lei avrebbe fatto aderirei il suo bacino varie volte contro quello di lui, mentre gli avrebbe infilato la mano fra i capelli, per valutarne la morbidezza. Lui le avrebbe afferrato i lati della vita, per poi salire fino al seno, e toccarglielo con i pollici, e poi riscendere fino ai fianchi, e infilarsi sotto il vestitino bordeaux e accarezzare i collant, e le loro cuciture sopra le natiche.
Lei si sarebbe accontentata di questo e gli avrebbe afferrato la mano, e con passo da soldato ubriaco l’avrebbe trascinato verso il suo appartamento, a pochi isolati da lì.
Non avrebbero parlato per tutto il tragitto, lui l’avrebbe tirata a sé qualche volta per tornare a baciarla, e per guardarla meglio alla luce più sincera dei lampioni. Lei avrebbe notato durante quegli ultimi baci, come l’erezione di lui stesse bussando per uscire da quei pantaloni neri e stretti, e all’idea di averlo eccitato si sarebbe eccitata ancora di più. Avrei scritto qualcosa riguardo a come le donne (e forse anche gli uomini, anche se forse meno) si eccitino all’idea di eccitare, ma poi l’avrei cancellato, risparmiandomi questi pensieri per qualcosa con meno condizionali.
Sarebbero arrivati a casa, e appena valicata la porta lei gli avrebbe intimato di non far rumore, ché la sua coinquilina aveva un esame il giorno dopo, e dopo averle bruciato la caffettiera, regalo della nonna, il giorno prima, non le avrebbe perdonato anche questa “mancanza di rispetto”, così la coinquilina amava chiamare anche il non sciacquare la tazza dopo la colazione. Qui sarei stata probabilmente indecisa se scrivere di qualche malaugurato rumore frastornate, dovuto all’ubriachezza di entrambi (quella di cui vi avrei accennato prima), o semplicemente andare avanti con la narrazione per arrivare a descrivere la scena d’amore, di cui parlai nelle prima dieci parole.
Avrei optato probabilmente per la seconda opzione, e non mi sarei soffermata molto sulla parte in cui lei gli avrebbe sbottonando i pantaloni, e si sarebbe ritrovata a baciare, da sopra il tessuto dei boxer, il sesso di lui speranzoso e in attesa. O forse invece avrei rallentato immancabilmente la narrazione per descrivere senza perdere nessun particolare, con perizia tecnica, e quasi con insopportabile minuziosità le sensazioni di entrambi durante quegli istanti prima del sesso.
Lui avrebbe sospirato profondamente, e lei si sarebbe inorgoglita mentre con la lingua stuzzicava ogni parte di quella pelle tesa e ormai totalmente inumidita. Avrebbe percorso in lunghezza tutto il membro varie volte, prima di essere allontanata da lui e dalla sua voglia di rendersi utile. Lui si sarebbe tolto le scarpe in maniera impacciata e poi si sarebbe appoggiato sulle lenzuola in una maniera altrettanto impacciata, mentre lei si sarebbe ritirata sui cuscini, spaventata che lui le potesse cadere addosso.
Lui avrebbe approfittato di quella posizione, per tirarla dai piedi e infilarsi fra le sue cosce nere di collant e dare prova delle sue doti di esperto linguista. Lei ne sarebbe stata estremamente soddisfatta, e non si sarebbe dovuta sforzare molto a non distrarsi come era solita fare, pensando ad esempio alla lavatrice del giorno dopo, o a quella sua collega che aveva preso più di lei durante l’ultimo esame. Lui, come lei prima, si sarebbe inorgoglito e avrebbe continuato fino al totale appagamento di lei, come gli sembrava educato, vista l’ospitalità. Infine avrei descritto in breve, perché avrei ritenuto poco divertente, l’atto sessuale in sé, con lei sopra, poi lui sopra, poi entrambi di lato, e poi sfatti e distesi come le lenzuola sotto di loro.
Lui si sarebbe acceso una sigaretta, e lei si sarebbe appoggiata sul suo petto, mugugnando qualcosa contro il fumo, senza voler farsi veramente sentire, e probabilmente, dopo due sorsi d’acqua a testa si sarebbero addormentati profondamente.
Credo che più o meno, in sostanza, sarebbe stato questo quello che avrei scritto se solo avessi avuto tempo e voglia, sfortunatamente è già tardi, devo dare da mangiare al gatto, ho il telefono che squilla, e forse un principio di influenza, quindi mi limiterò ad immaginare, canticchiando, la scena d’amore di questo Lui e di questa Lei.