Una nuova storia di Rafa de la Rosa, che puoi leggere qui in originale.

Quando ho accettato il lavoro dall’altra parte della città, era sottinteso che mi sarei spostato in moto visto che le combinazioni della metro erano semplicemente impossibili. Non avevo certo messo in conto che la moto si sarebbe rotta entro la prima settimana di lavoro e che avrei dovuto ripiegare sull’autobus.

E invece eccomi alla fermata insieme agli altri sfigati che la mattina devono alzarsi un’ora prima di tutti per avere il tempo di affrontare il pachidermico traffico cittadino. Odio la lentezza e l’affollamento dei mezzi pubblici, odio svegliarmi un’ora prima.

L’autobus arriva in ritardo, ovviamente. È sovraccarico di gente, ovviamente. Cerco di ritagliarmi uno spazio vicino alla finestra, mentre la sbarra mi si conficca nel petto. Se fuori, sul marciapiede, faceva freddissimo, adesso il cappotto inizia a surriscaldarmi.

‘Scusami.’ Mi dice il ragazzo che mi si aggrappa alla schiena a un sobbalzo dell’autobus.

‘Non preoccuparti.’ Rispondo lanciandogli un’occhiata.

La prima occhiata frettolosa mi ha lasciato un’impressione tale che sento il bisogno di guardarlo di nuovo. Indossa un impermeabile e sta cercando di liberarsi della sciarpa per contrastare il caldo malsano dell’autobus che già gli imporpora le guance. Gli sorrido e lui mi sorride di rimando, mescolando i suoi occhi blu ai miei. Torno a guardare la strada, ma continuo a pensare a lui.

L’autobus traballa di nuovo e il ragazzo mi si avvicina di più, posso sentire il suo corpo contro la mia schiena e come il suo addome si solleva ad ogni respiro. Siamo talmente attaccati che ogni suo movimento si propaga sul mio corpo: sento come la sua mano cerca di farsi strada dentro l’impermeabile, immagino che voglia raggiungere il cellulare, ma noto che invece la lascia all’altezza del fianco, in modo che ad ogni oscillazione dell’autobus, finisca sul mio sedere.

Improvvisamente la temperatura intorno a noi sembra essere aumentata di parecchi gradi.

Guardo oltre la mia spalla e i nostri occhi si incontrano di nuovo in silenzio. Con nonchalance prendo il portafogli dalla tasca anteriore del cappotto e lo infilo nella tasca posteriore dei pantaloni, la mia mano sfiora la sua. La lascio lì. Ben presto lo sento riposizionare il corpo in modo che il cavallo dei suoi pantaloni si abbini al vuoto della mia mano. Con gli occhi fissi sulla strada, muovo le dita fino a raggiungere la cerniera dei suoi pantaloni, sento il calore che emana dalla sua pelle sotto i vestiti. Il suo impermeabile ci copre mentre stringo delicatamente la sua erezione incipiente, mentre sfioro la morbidezza dei suoi testicoli.

La sua mano sinistra percorre il mio sedere e la mia vita fino ad arrivare ad agganciarsi alla cintura, poi con un gesto secco mi attira a sé: il mio sedere è incollato al suo corpo. La sua erezione pulsa contro di me, ma non si ferma qua e passa la mano tra le mie gambe.

Qualcuno tossisce in lontananza, totalmente ignaro dei giochi che stiamo facendo. Muoio dalla voglia di girarmi, attirarlo a me e averlo tra le mie gambe, con le sue labbra sulle mie. Proprio qui, davanti a tutti, senza che nessuno se ne accorga.

Cercando di non far trasparire il mio desiderio di sesso, muovo il mio sedere attaccato al suo corpo e riesco quasi a sentirlo contenere un gemito.

L’autobus si ferma alla fermata successiva e il contatto con il suo corpo svanisce. Mi volto con disinvoltura e i nostri occhi si incontrano ancora una volta. È più accalorato di prima, con lo stesso sorriso e i suoi occhi azzurri mi mandano un cenno di addio.

Non mi manca più la moto. Il trasporto pubblico ha i suoi vantaggi dopo tutto.

LEGGI ALTRE STORIE GAY